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Inquadrare un codice linguistico e semantico affi­dandosi ad una lettura (seppure attenta) di un te­sto poetico, per giungere ad un qualche risultato in grado di formulare un quadro tangibile della vi­cenda personale del poeta, é compito difficile.

La parola, specie in questo caso, gioca un ruolo di elaborazione degli archetipi nel contesto di una struttura trionfante di particolare bellezza, dove è evidente la formulazione di una metafora tesa a cogliere, talvolta, l’indicibile:

             …trovo la figura
dove la strada piega al consueto giorno,
domani come ieri,
dove si spegne
l’attimo, ed invade il ritorno…

Vi é poi l’affluire di una immanenza e di un dire che scandisce i termini estremi di un verso. appa­rentemente inconsapevole, che riaccende conti­nuamente il fluire delle cose per cogliere la sugge­stiva testimonianza di un pensoso cammino di vi­ta. Amato Maria Bernabei parla della vita e dell’amore con un preciso tono affabulatorio, la sua poesia non segue l’evento dirompente dell’analisi, ma il riflusso del quotidiano, e dà alla pa­rola, la cognizione della libertà nel continuo con­fronto con i propri limiti, per garantire alla poesia l’assoluta certezza delle cose:

“Venisti quando ancora nell’acerba
luce filtra la vena della sera
quando l’estate di novembre teme
lo sguardo delle nebbie, meridiana
luna smarrita. La tua voce antica
avevo colto come una preghiera,
un richiamo per vivere…”

È una lirica dai toni riflessivi caratterizzata da una idea della vita visualizzata, i cui esiti, intensi, scandiscono i termini di una presenza forte e incisiva. La percezione dello scorrere del tempo in questa raccolta è pervasa da un senso di eterna meta­morfosi e di memorie che si accendono e si spen­gono, come il giorno e la notte nel fluire degli elementi. Amato Maria Bernabei, con questo li­bro, segna l’emergere efficace di un dialogo esi­stenziale, orientato al mito e alla leggenda e rac­chiuso in una bolla smisurata, dove sono conte­nuti gli stordimenti, le lacerazioni, che il confronto interiore comporta quando il sogno della poesia ci cresce fra le mani, come acqua in un estuario di memorie disattese:

La porcellana tenera di un viso,
fra le mie mani il canto più profondo
che intonava la vita,
all’improvviso
è inaridita…

La consistenza materica delle cose è rivolta a re­cuperare il mistero presente in un mondo di sim­boli che, talvolta, non riusciamo a comprendere, ma in questa raccolta la poesia interagisce col rit­mo, con una parola plastica la cui bellezza ci insi­nua in un nucleo di elementi fantastici che, attra­verso un viaggio di impercettibili mutazioni se­mantiche, ravviva la nostra ansia dialettica e ci pone domande:

-   E dove troverai le piane azzurre
svelate
come in argini di acquario,
le sconfinate trasparenze
al volo?

Al dì là di un immaginario rappresentabile in un contesto di registro individuale, non si può non cogliere il momento essenziale che riafferma la poesia come fede, la parola come elemento mu­tabile e drammatico che trasforma la vita, in un viaggio dentro una fuga che è simbolo e metafora, che è sangue e carne, e riaccende il lume minu­scolo di un individuo nell’universo.

Amato Maria Bernabei, quindi è un poeta la cui sensibilità valica, ancor prima di porsi davanti alla pagina per interrogarla, gli schemi precostituiti e gli inutili razionalismi, per lasciarsi trasportare dal desiderio della ricongiunzione col mondo, per cantarne la bellezza inusitata fino a denudarsi, a rendersi, egli stesso, filtro della consapevolezza che ogni uomo è redimibile attraverso la seduzio­ne della poesia:

Ti parlerò,
ti parlerò del tempo che non basta
se la tua luce brilla
se ti fa dolce il viso,
e accosterò carezze al tuo sorriso
finché avrò sangue nelle mani
fino al tramonto della vita.

In conclusione, non si può tacere che questa bel­lezza del canto e del dire, appare come sostenuta da un velato pudore, da una sorta di protezione incontaminabile rafforzata da una corazza dialet­tica che si risolve sempre in una decisiva formula­zione poetica che, se certamente rende il dettato di non facile lettura, premia ogni lettore che deci­de di entrare nel mondo di questo poeta.

                                                                                                Salvatore Fava

 

Nell’ambito di un percorso coerentemente omogeneo, “Dove declina il sole”, raccolta di poesie d’amore di Amato Maria Bernabei, enuclea i tratti di un assunto esistenziale che appare qui come meditazione più che elusione di intollerabili monotonie, e che diventa paradigma interpretativo essenziale. Il tema centrale non è confinato nelle periferie del pensiero, gioca anzi un ruolo determinante come tramite di riferimento in una realtà in cui la sera tradisce ogni attesa.

Là, ‘dove declina il sole’, l’amore parla il suo linguaggio immutabile, eterno. Che abbandona i limiti della norma per allontanare i confini del tempo. “…la vita può cantare/ a fior di prato e bussare/ alle porte del vento/ per un tramonto più lontano”.

Nelle malinconiche pieghe del tramonto, l’urto immane del tempo sgretola il sogno, frammenta il ricordo in echi di un vissuto irripetibile. Solo la tenerezza del sentimento evade la verifica. Questo nucleo è la costante dinamica di un conflitto esistenziale e naturale in cui la regolamentazione dell’esistere soffoca la misura elementare, ne corrode i paradigmi autentici, cancella l’istinto, cioè la semplicità. La fugacità di abbandoni che chiedono al tempo un istante di tregua, annienta l’indugio ad una vaga tristezza che è struggente nostalgia.

Il leopardiano richiamo agli inganni è più che un vissuto di contenuti: è filosofia e quotidiano, realtà incontrovertibile che non porge speranza di riscatto attraverso l’incontro ricorrente, pur se fugace, con il sogno oggi rintracciabile nella mitizzazione di un’età che mantenga una parvenza di immortale. Sicché anche l’amore apre al dramma; anzi è dramma esso stesso, nella sua specificità, nella sua simbologia di effimero, nel suo aspetto figurale di evasione. “…Non canta l’usignolo/ e disorienta l’anima che cerca / lo spazio al volo e il tempo di volare”.

Pure negli spazi e nei silenzi emerge un mondo di infiniti sussurri, ed è il respiro che muta la materia in arte. Ed è architettura e affresco: nelle costruzioni sobrie, di elegante classicità, e nelle tonalità robuste, prive di enfasi. Ed è musica e scultura: nelle tensioni armoniche di improvvisi schubertiani, e nella plasticità di masse trasparenti, come i romani “…profili di pietre che segnano / il tempo sepolto.”

Sandro Bernabei


Alcune liriche scelte tratte dalla raccolta “
Dove declina il sole

Che cos’è la poesia?

 

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