Maria Luisa Zabeo - Passione (disegno su cartoncino)

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R e c e n s i o n i,  p a r e r i,  a r t i c o l i

sul dramma sacro PASSIO

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“Le sono cordialmente grato del dono della Sua grandiosa rappresentazione sacra nella splendida alternanza della prosa e della terzina narrativa [...] La lettura è particolar-mente preziosa e maestrevole”…

Giorgio Bàrberi Squarotti Torino, 30 marzo 2014

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Corrado Di Pietro

Il libro di Bernabei è un gioiello sia dal punto di vista editoriale (bellissimo!) sia dal punto di vista poetico. È una via crucis drammatica e profondamente sentita, ricca di spunti di riflessione esistenziale e religiosa. I versi sono perfetti metricamente e scorrevoli come una melodia musicale. I tanti personaggi formano non solo la folla che poteva esserci in quel giorno di passione, ma i tanti che si sono incontrati o scontrati col Cristo, durante questi duemila anni. Opera liturgica e laica senza soluzione di continuità, come sa esserlo solo la buona e grande poesia.

Corrado Di Pietro

 

“Il vero punto cruciale del tuo poema non è nella rilettura della Passione (pur se essa, certo, unifica tutto l’insieme), ma in quel che di tuo e originalissimo vi hai creato intorno, con le varie scene e figure. Il tuo dramma non è un’opera semplicemente biblico-religiosa, ma una vera meditazione ricchissima di spunti e aspetti realmente teologici, grazie ai personaggi che vi si intrecciano. Ad iniziare, naturalmente, dall’Empio e dal Girovago. Riflessione sulla colpa e sul perdono, sulla limitatezza umana e sulla redenzione, che nella sfrontatezza dell’Empio attualizza l’evento storico di due millenni addietro mostrandolo per quello che realmente è: un rapporto tra l’Uomo e il suo Creatore che è (e deve essere) tutt’oggi vivo, ora armonioso ora conflittuale, continuamente rinnovato, presente e radicato nella vita concreta e quotidiana di ciascun credente. Letto in questo modo, il tuo dramma risulta autonomo da qualsiasi calendario liturgico per farsi opera da meditare in qualsiasi periodo”.

Nota di Stefano Valentini

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Amato Maria Bernabei PASSIO Valentina Editrice, Padova, 2014 

Gli stessi interrogativi generati tra l’uno e il tutto, il singolo e Dio riemergono senza sosta dalla coscienza inquieta dell’uomo. Che non riesce a capire il perché gli sia negata la conoscenza con un divieto che ha il sapore della beffa, dell’assurdo. Prepotenza, sopraffazione, capriccio di un Padre padrone che lo getta nel mondo e ve lo intrappola, lo provoca, gli porge il frutto proibi­to invitante, irresistibile. Peccato. Redenzione. Perché? Fatto della stessa stoffa del suo Creatore, frammento prezioso d’infinito, l’uomo si ritrova impotente, fra­gile, dotato di un intelletto inadeguato a varcare i suoi stessi confini e, tuttavia, assetato di luce.

Sulla scena, tre personaggi. L’Empio, che accusa: la sua lingua è lama di ragione, sottile, tagliente, gelida; il Girovago, creatura tormentata, equilibrista pavido sospeso sull’abisso, dubbioso sulla tenuta della corda; l’Angelo, severo, sicuro di sé, con le sue dog­matiche certezze. Hanno voce chiara, si potrebbe pensare che stiano dialogando, ma non è cosi: il loro è una sorta di monologo collettivo. Non comunicano. Sono dannati a essere l’uno l’inferno per l’altro: invitati, da un personaggio ignoto e inconoscibile, a sostare in un albergo le cui porte e finestre verranno, all’improv­viso e senza una spiegazione plausibile, murate per sempre. Il dramma A porte chiuse di Sartre è la prima cosa che viene in mente al lettore di Passio di Amato Maria Bernabei, studioso e poeta abruzzese che continua a esplorare l’efficacia e le potenzialità della scrittura su tematiche esistenziali e storiche che da sempre coinvolgono la sua ricerca. All’uomo non fu tolta la libertà, anche se le apparenze non sono di conforto a questa affermazione. Cri­sto, con la sua Passione nel tempo e nella storia, ne è prova e te­stimonianza. Negandogli la comprensione della coincidentia op­positorum, Dio ha inteso, forse, solo proteggere l’uomo; l’intento è quello d’impedirgli di spiccare voli temerari per le sue ali inade­guate. Ma non ha chiuso definitivamente il varco. Forse.

Bernabei sa muoversi con disinvoltura: con uno stile, la terzina dantesca, magistralmente governato da classica compostezza in questa sacra rappresentazione che, per alcuni aspetti, ricorda Ja­copone da Todi. Lì c’erano la madre, il figlio, l’Angelo, la folla; c’e­ra il dramma dell’incomunicabilità tra i personaggi, ciascuno con le sue ragioni, e l’impotenza dell’umano nei confronti di un divi­no incomprensibile. La Provvidenza, sostiene l’Empio, è una frot­tola che non giustifica il dolore e la discordia. Dio ha teso all’uomo un agguato beffardo, quando ne ha determinato la condizio­ne. Lo ha fatto fragile e incline a sbagliare, allo scopo di punirlo, pur sapendo degli effetti deleteri della punizione. Nell’insondabile disegno divino, tutto procede come previsto. Giuda agisce come deve, fa la parte a lui assegnata, la meno applaudita dal pubblico e, tuttavia, la più preziosa. Senza di lui, tutto perderebbe senso. Forse per questo Cristo lo gratifica con un bacio riconoscente.

Bernabei percorre, con apprezzabile e riconoscibile autonomia intellettuale e artistica, sentieri attraversati da scrittori che, di Giu­da, hanno dato analoga interpretazione. Il pensiero va, uno dei tanti, a Ferruccio Ulivi e al suo Trenta denari, edito nel 1986, che rappresentava il volto altro di Giuda, le ragioni meno visibili del suo atto, in ciò rimandando, a sua volta, a un’intensa riflessione di Luzi: «Lui brucia della sua terribile promessa, muto al pari dei suoi alberi. E delle sue nuvole». Passio è opera di notevole spessore culturale, frutto di una tensione etica mirata a cogliere il divi­no nell’umano non per puro gusto di esercizio metafisico, bensì per una maggiore e più convincente comprensione del senso da attribuire all’umano nella Storia.

Pasquale Matrone
La Nuova Tribuna Letteraria, Venilia Editrice, Padova – Anno XXIV, n. 114

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Venezia, Palazzo Albrizzi 5 Aprile 2014

Stefano Valentini

“Ho pubblicato solo una ventina di libri in otto anni, ma stamparne pochi significa selezionarli, andare in cerca di libri diversi da quelli che affollano le librerie, da quelli che magari durano un mese, due e poi scompaiono. Cosa particolarmente impegnativa è pubblicare la poesia, un genere che richiama pochi lettori, che già in Italia sono tragicamente pochi (le inchieste ci dicono che un italiano su tre legge nel corso dell’anno, mentre due italiani su tre leggono in maniera del tutto occasionale o non leggono affatto). La poesia consente comunque una meditazione particolare sui contenuti. Amato Maria Bernabei è un poeta di indiscusse e riconosciute qualità, che ha tra l’altro all’attivo un’opera pubblicata per Marsilio nel 2006, Mythos, che è enormemente più vasta di Passio e che è un gigantesco poema  sui miti greci, opera che gli ha dato notevoli riconoscimenti a livello nazionale, che si collega a Passio per la scelta stilistica delle terzine dantesche, rese in una lingua contemporanea, per quanto alta, che non ama l’uso di parole desuete e il ricalco di modi antichi. Tornando al dramma sacro, dove il pensiero si fa complesso, e le terzine si rivelano estremamente dense di concetti, il libro agevola il lettore presentando, a fronte di ogni facciata scritta in versi, la parafrasi, la traduzione in prosa che facilita la comprensione del testo poetico. Il modo giusto di leggere poemi di questo genere è, a mio avviso, affrontare la lettura dell’opera aiutandosi con la parafrasi, e poi, quando tutto diventa chiaro, rileggere l’intera parte scritta in versi. Di fronte a un lavoro di questa natura, c’è stata la volontà da parte mia, come editore, di stampare un libro che secondo me si distingue, non soltanto per l’uso di una lingua e di una forma poetica tutt’altro che desuete. Nonostante la sua vita secolare, l’endecasillabo non è infatti tramontato, perché anche nella poesia contemporanea, benché siano pochissimi a poter affrontare e portare a termine un’operazione come quella realizzata da Amato Maria Bernabei, il gusto di questa forma metrica, soprattutto sciolta, si ritrova in molti poeti, anche giovani, dimostrando che l’endecasillabo è ancora un verso principe, pienamente attuale. Per quanto da amante della poesia avrei potuto rimanere folgorato e innamorato da questa impresa di carattere formale, la  vera novità del dramma è nei suoi contenuti, a cominciare dalle figure dei tre personaggi protagonisti: L’Angelo, L’Empio, il Girovago, che sostengono in forma di confronto dialogico la maggior parte delle scene. I tre personaggi sono naturalmente metaforici. L’Empio incarna la ribellione,  incarna la posizione di chi deve contestare a tutti i costi, mettere in discussione la dottrina, la posizione della Chiesa, gli aspetti della colpa e della redenzione. L’Angelo incarna la parte opposta, quella di colui che ribadisce la dottrina, la posizione ufficiale, la fede nella sua forma tradizionale, mentre il Girovago è la figura più vicina all’uomo, l’uomo che si interroga, che di fronte a queste due posizioni estreme, cerca una mediazione, cerca di gestire i propri dubbi e di superarli. Nel poema, di conseguenza, appaiono scene le più disparate, comprese, ovviamente, quelle che narrano la Passione; ma una semplice narrazione di questa sarebbe stata magari particolarmente elegante sotto il profilo stilistico e poetico, ma certo poco dirompente: molti altri avevano già dato una loro narrazione in versi della Passione. Qui la Passione è ciò che in alcuni quadri accompagna il senso vero dell’opera, che emerge negli altri quadri, quelli in cui interagiscono i tre protagonisti, e quelli in cui si amplia totalmente la visione nello spazio e nel tempo, dalla cacciata dall’Eden, presentata nella prospettiva che caratterizza l’intero poema, fino a squarci di contemporaneità, come la processione del Venerdì Santo nella terra d’Abruzzo, che è la regione di origine dell’autore. Quadri temporali che dunque si intrecciano in un tutto che ho voluto sintetizzare nella fascetta che avvolge il libro: la libertà, la colpa e la redenzione. Una riflessione allora sull’atto supremo della redenzione indotto dalla colpa commessa dall’uomo, cui Dio aveva concesso una condizione di assoluta libertà. Il dramma è una grandissima meditazione sulla libertà, come fulcro di tutto: la creazione discende in fondo da un atto liberale di Dio che decide di creare l’uomo e l’universo, e la relazione che poi si svilupperà fra Dio e l’uomo si giocherà sulla libertà concessa all’uomo di  scegliere, di pensare, di trasgredire; ma la meditazione non disdegna i contenuti teologici: gli uomini di Chiesa che stanno leggendo questo libro ne stanno cogliendo questa dimensione nella sua importanza. Al poema non viene affidato perciò il compito di raccontare nuovamente la Passione di Cristo, ma soprattutto di riflettere su queste tematiche, di approfondire la Passione non dal punto di vista del Redentore, ma dal punto di vista del redento, il punto di vista dell’umanità che si trova a dover discernere il bene dal male, il giusto dalla colpa, e a dover gestire la propria libertà. La riflessione di Amato Maria Bernabei riguarda tutti gli uomini, singolarmente considerati, che si sono posti almeno una volta domande di fronte alla propria fede”.

Stefano Valentini Editore Direttore de La Nuova Tribuna Letteraria

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Torna la terzina dantesca in una forma nuova e moderna che ne rilancia tutta l’espressività. Torna in Passio (Valentina editrice, pp. 110, euro 16) di Amato Maria Bernabei, un autore che ha già fatto parlare di sé come autore di poesie, poemetti e drammi, ma anche per o Dante o Benigni, il libro-denuncia delle gravi lacune con cui Benigni ha letto e parafrasato la Divina Commedia facendosi oltretutto pagare a caro prezzo dalla Rai.

Passio, pubblicato con il contributo del Centro studi e ricerche di Vigonza e dell’associazione di promozione sociale Club cinque archi, offre una lettura nuova e originale della Passione di Cristo intrecciando al racconto del calvario varie digressioni nel tempo e nello spazio, di derivazione biblica ma anche attinte dalla liturgia e da scene e ricordi personali di devozione popolare. «I protagonisti veri – spiega l’autore, di origini abruzzesi ma residente da tempo a Vigonza – sono tre personaggi che dibattono tra loro la dottrina cristiana, parlando della Passione, ma anche della creazione e del peccato originale, della condanna di Giuda e dell’aldilà. C’è l’empio, che pone interrogativi ribelli e inquietanti, spiegando la caduta di Adamo ed Eva come una crudeltà divina, un atto ingannevole nei confronti di esseri dotati di un’indole debole. C’è l’angelo, che rappresenta la dottrina dogmatica, l’enunciatore di un mistero che non può essere violato se non a prezzo della perdizione eterna. E c’è il girovago, incapace di capire ma disponibile alla ricerca, che “di fronte alle certezze provocatorie dell’empio vaga alla continua ricerca della verità”, sommerso dal dubbio e dalla consapevolezza di non riuscire a contestare fino in fondo perché “il pensiero umano ne esce sempre sconfitto, come succede al tentativo di camminare al buio, destinato a fallire nell’urto contro qualche ostacolo a causa della vista umana che non ha possibilità contro la tenebra ostile”».

Lorenzo Brunazzo

L’opera, articolata in 13 quadri come quelli della Via Crucis, di diversa lunghezza, presenta fianco a fianco la poesia in terzine e la parafrasi in prosa. «La scelta della terzina dantesca – spiega l’autore, che ha composto anche un lungo poema di diecimila versi in terzina dedicati ai miti greci – è da un lato motivata dalla mia passione per la tradizione, dall’altro dal desiderio di riscattare una forma poetica che non è affatto antiquata. Vorrei ridare prestigio a un modo di poetare distrutto dall’uso indiscriminato del verso libero, usato da chi è convinto di fare poesia solo perché va ogni tanto a capo. La riproposizione di un modo che sta morendo nasce dalla convinzione che l’uso di questo ritmo non ha nulla di condizionante, è invece creativo. Come tutte le norme che chiedono di essere applicate e poi superate dall’espressività artistica». Forme antiche quindi, rimodellate, come vengono rimodellati i contenuti sempre attuali dell’animo umano, quelli che accostano l’uomo antico a quello moderno. Quello dell’uomo, sostiene Amato Maria Bernabei, è un dramma senza tempo che mette a confronto momenti di riflessione e di ribellione, fino a raggiungere una sintesi.

Lorenzo Brunazzo

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Padova, Centro Universitario 9 Maggio 2014

Don Roberto Ravazzolo

Ho accolto molto volentieri la possibilità di presen-tare qui al Centro [1] il libro Passio. Ho seguito con interesse il filmato introduttivo e sono rimasto colpito dalla bellezza della proposta. Concordo poi perfettamente con quello che è stato detto da Bernabei a proposito della poesia, sul fatto che la forma classica tradizionale della poesia vada recuperata e trasmessa alle nuove generazioni. Non mi piace la scena del film L’attimo fuggente, in cui l’insegnante, per trovare un metodo d’insegnamento più accattivante, che renda la disciplina, la Lettera-tura più accessibile ai ragazzi, strappa le pagine del volume di testo dedicate alla metrica. Non so se l’abbiate presente. Io non condivido quella scena e ringrazio anzi per quello che è stato detto sulla terzina dantesca, ma non solo, sulla poesia anche come attenzione alla forma.

Per quanto riguarda il contenuto dell’opera, indubbiamente la parte più interessante è stata anche per me l’enucleazione dei dubbi, che possono effettivamente permettere di interpretare l’autore, ma interpretano pure gran parte di chiunque si accosti a quest’opera. Dentro di noi ci sono questi dubbi, che non sono soltanto dell’uomo della strada, o del razionalista o dello scienziato: sono del credente, sono del teologo. La ricerca teologica può procedere, come peraltro la scienza, se accetta di confrontarsi con le grandi domande, relative al male, alla libertà dell’uomo, al fatto che il cosmo abbia o no una direzione, un fine, sia attraversato da una finalità, oppure proceda per prove e tentativi. Sono domande che indubbiamente ci mettono alla prova, ma con le quali abbiamo il dovere di confrontarci. Il pregio di quest’opera è che le tematizza, intrecciandole con una narrazione che attinge a più parti della Scrittura, armonizzandole insieme in maniera molto sapiente, convincente, in modo che proprio attraverso la narrazione riescono ad entrare più in profondità. A me piace che sia stata scelta la forma del dramma, perché mi ha fatto venire in mente le rappresentazioni medioevali, le sacre rappresentazioni che inscenavano la Passione, ma non solo. Spesso erano la presentazione di varie parti della Scrittura tenute insieme da un filo tematico suggerito dal tempo liturgico, oppure dal predicatore o dal vescovo che commissionava l’opera. Questa drammatizzazione della Passione tiene fortemente conto dell’uomo contemporaneo, dello sfondo nel quale l’uomo di oggi si trova a vivere, a credere, a guardare nel proprio presente e soprattutto a escluderlo. Quello che a me preme proporre come provocazione è questo: la pagina di Genesi da cui muove anche il dramma-poema di Bernabei, che dedica le prime terzine alla Creazione, anche se queste si fermano alla creazione della luce, parla di quello che è successo all’inizio della storia, oppure di qualcosa che avverrà alla fine? Io seguo dei Padri della Chiesa che sostengono che i primi capitoli di Genesi, più che una parola sugl’inizi, siano una parola sulla fine della storia. Alla fine di questo processo lunghissimo che per noi dura cinquanta, sessanta, cento anni, quanto sarà l’arco della nostra esistenza – per l’umanità potrà durare quanto ancora? facciamo qualche millennio, anche se, procedendo con questo ritmo, non so… – alla fine di questo processo, dicevo, si realizzerà quello che leggiamo nelle prime pagine della Scrittura: un mondo finalmente illuminato dalla luce divina, in cui l’uomo potrà vivere armoniosamente, armonicamente con le altre creature e con se stesso, articolando il tutto lungo un processo che non sappiamo quanto durerà, non sappiamo quanta fatica ancora ci costerà. Il pedaggio che dobbiamo pagare è anche confronto con dei dubbi che ci lacerano profondamente, che ci inquietano e che ci pongono di fronte alla vita in maniera problematica. Ma la colpa che cos’è? è una trasgressione che è stata commessa agli albori della vita dell’uomo? o non potrebbe anche essere l’indisponibilità al dubbio? il vivere di certezze, sia pro che contro? Questa vuol essere una suggestione, non è una risposta…  consonanza, più che altro, con dei temi che ho trovato dentro l’opera e che me l’han fatta piacere. Poi, a proposito della polisemia delle parole, cui accennava Bernabei, anche il termine passione, passio, potrebbe essere inteso al negativo, significare un grande dolore, una grande sofferenza, ma pure in positivo, un grande amore, un grande fuoco che si accende dentro di noi e che entusiasma, accende la vita di idealità.

Ecco, volevo dire semplicemente questo, con un grazie all’autore… mi convince che tutti e tre i personaggi protagonisti del dramma nascano dall’esperienza diretta… Mi ero posto una domanda: in quale personaggio maggiormente si identifica l’autore? fra i tre, in quale di più? Mi ero risposto l’empio, per la radicalità delle domande; ma indubbiamente non c’è solo L’Empio, ci sono anche il Girovago e L’Angelo che introducono aspetti complementari della biografia dentro questo poema. Grazie

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Personalmente io, più che in sintonia con Tommaso e con le prove della dimostrazione di Dio che si erano elaborate all’interno della tradizione scolastica, mi ritrovo con Agostino, che percorre, potremmo dire, una via psicologica. All’esistenza di Dio arrivo assecondando la nostalgia di assoluto che avverto dentro di me e che mi porta indubbiamente a mettermi in relazione con un totalmente altro che paradossalmente, però, si dà nell’assenza. “Come accade che manchi una presenza?” scrive Bernabei. Tutto muove dalla percezione di questa assenza, dal percepire che manca qualcuno, che non riesco ancora a identificare, ma cerco – ecco il Girovago cercatore… mi piace questa figura… -. E la fede allora che cos’è? è questa ricerca che si dipana lentamente nella storia e che è costretta a convivere con il dubbio. Non il dubbio che nega la possibilità di arrivare a un traguardo, ma quello che deve mettere sul piatto anche elementi che non hanno risposta, che non possono essere misurati, che superano le possibilità della ragione. La fede resta dunque un atto di fiducia, anche se indubbiamente ci sono degli elementi di ragione. Perché quando ci mettiamo a riflettere sul Cristo, a studiare i Vangeli, i testi che parlano di lui, abbiamo dei dati oggettivi sui quali poter ragionare, leggere al poco giorno e al gran cerchio d’ombra, come recita Dante [2]: questa è la fede, dobbiamo avere l’onestà e la correttezza di ammetterlo, ma non per indulgere a una sorta di relativismo da quattro soldi, ma per essere onesti, con noi stessi e con gli altri. Non vuol dire questo che non ci siano delle risposte, ma ogni risposta rimane sempre penultima, anche la più esaustiva: non c’è la risposta che chiude. Quando invece parliamo di “principio” il testo di Genesi, ripreso poi da Giovanni – ancora una volta mi è piaciuto che Bernabei sia riuscito a mettere insieme sia Genesi che l’inizio di Giovanni – di che principio si parla? La Scrittura parla di un principio cronologico o non piuttosto di un principio assiologico, di un valore che è messo come punto di riferimento, come basamento da cui dedurre, ricavare tutto il resto? Anche perché la Creazione, lo sappiamo benissimo, nella visione biblica corretta non è il primo impulso che Dio ha dato alle cose, poi come lasciate a se stesse, perché attraverso un sistema di causa-effetto, di generazione, continuino, si propaghino, si allarghino. Si è creata una falsa contrapposizione tra creazionismo ed evoluzionismo. La Creazione è il rapporto che Dio instaura con le cose; e questo è sempre esistente, sempre all’opera, per cui la Creazione non è finita il sesto giorno… Adesso uso sempre categorie bibliche: lei ha scritto sul mito, quindi comprende bene… Ravasi ha delle pagine bellissime su come quei testi, i primi undici capitoli di Genesi, vadano interpretati secondo la categoria del mito, cosa su cui possiamo essere d’accordo, senza discuterne. La Creazione allora è proprio questo rapporto che Dio instaura con la realtà, che è un rapporto permanente. Non si parla quindi di una creazione come momento iniziale, quasi una bilia che toccata da una mano dia vita ad un movimento che poi proceda di moto proprio; si tratta invece di un rapporto continuo, costante, che si dipana nel tempo. Io ho tradotto dei testi dei Padri del IV secolo, dei Cappàdoci in maniera particolare, che sul tema della Creazione si sono interrogati moltissimo e si sono posti la domanda: che rapporto c’è tra Genesi e Apocalisse? Sull’inizio del mondo sappiamo pochissimo, sulla fine invece sappiamo tutto. Perché la Genesi è quello che sarà il mondo quando sarà arrivato al traguardo, al termine, alla fine della sua storia evolutiva…

Dall’intervento del Dott. Don Roberto Ravazzolo Direttore del Centro Universitario di Via dei Zabarella Docente presso il Barbarigo e la Facoltà Teologica di Padova


[1] Centro Universitario di Padova, in Via dei Zabarella, 82. [2] Rime petrose.

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http://www.cittanuova.it/c/438856/In_libreria.html

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Fascicolo 173, Marzo 2015

Maristella Mazzocca

                L’eternità e il tempo, la libertà e la predestinazione, la colpa e la redenzione. Sono solo alcuni dei vertiginosi temi che tramano l’ultimo dramma, in fluenti terzine dantesche, di Amato Maria Bernabei. Narratore, poeta, autore radiotelevisivo, Bernabei interroga i grandi testi del cristianesimo, dalla Bibbia ai Vangeli, secondo il punto di vista di un cavilloso, eppur esigente razionalismo cui dà voce, nel dramma, la figura, sfrontata e dissacrante, dell’”Empio”. Gli rispondono, quasi un controcanto, la voce del dogma, incarnato dalla figura dell’”Angelo”, e la voce di un ragionevole dubitare, incarnato dalla figura del “Girovago”. Al centro della scena si snoda, in un crescendo colmo di pathos, la vicenda della passione di Cristo, ritmata dai pensieri di una figura di Giuda che si pretende traditore, sì, ma in funzione di un piano divino che nel tradimento trova lo strumento necessario perché si compia la redenzione.

Gli interrogativi incalzano, i dubbi si accavallano fin dalle primissime battute del dramma che si apre sull’orizzonte immenso delineato dai primi versetti della Genesi, riletti solo per denunciarne le contraddizioni: “Perché Dio porta nell’eternità i segmenti del tempo, che la negano, ed offende l’infinito, dichiarando con il desiderio e l’atto della Creazione che all’infinito manca qualcosa?” si chiede l’Empio che, di seguito, incalza e domanda perché mai, sulla terra creata da Dio, le creature si uccidano l’un l’altra e pace ed armonia rimangano un sogno che non si avvera.  Sono, quelle del personaggio, le eterne domande di chi si chiede come possa, un Dio creatore, tollerare il male, l’ingiustizia, la tragedia del dolore innocente o la quotidiana rissa della vita. A cui il testo aggiunge il dubbio che anche la tentazione dell’Eden, da cui nacquero la storia, il dolore  e la fatica del vivere, non sia stata, in fondo, che un copione già scritto, insito nella natura delle creature, troppo fragili per resistere alla melliflua tentazione del serpente. Il quale parla, nel dramma,  con la voce tentatrice di Lucifero il quale chiede  perché mai la conoscenza dovrebbe essere un male per l’uomo. Ed insinua il sospetto che il divieto  non sia, in fondo, che la logica di ogni tiranno pronto a tenere nell’ignoranza i sudditi pur di renderli inoffensivi. Il seguito è noto: Eva coglierà il frutto proibito ed inizieranno la storia, il tempo ed il dolore. Ma le domande dell’empio e le insinuazioni di Lucifero non rimarranno senza risposta. La tesa dialettica tra libertà, colpa e redenzione che attraversa l’intero arco del dramma di Bernabei troverà la propria conciliazione nella saggezza del Girovago il quale conosce bene i limiti della conoscenza umana e, proprio perché ha l’umiltà di capire la propria umana insufficienza, si arrende al mistero dell’inconoscibile che trova, nell’evangelico “omnia munda mundis”, la misura possibile della conoscenza umana. Per la quale la libertà di scelta fu un dono rischioso che ebbe conseguenze incalcolabili. Ma trovò, nel sacrificio di Cristo, una redenzione la cui eco rintocca lenta, nella scena conclusiva del dramma, in cui  la crocifissione non è che il rumore sordo di un “martello che inchioda il cielo”.

Maristella Mazzocca

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Il dramma sacro Passio di Amato Maria Bernabei (Valentina Editrice, Padova, 2014), scrittore e intellettuale aquilano da molti anni residente e operante a Vigonza, si presenta come un innovativo poema sui temi della libertà, della colpa e della redenzione. L’autore offre una lettura originale e nuova della Passione di Cristo, non soltanto per l’uso della terzina dantesca, ma soprattutto per l’intarsio di quadri e situazioni di varia derivazione e ispirazione, che accompagnano il racconto del Calvario. Al canone evangelico si affiancano numerose digressioni nel tempo e nello spazio e la narrazione si impernia sui dialoghi tra l’Empio, l’Angelo e il Girovago, personaggi chiave – che esprimono rispettivamente l’irrisione blasfema, la dottrina dogmatica e la ricerca dubbiosa, ovvero due posizioni contrapposte ed una mediatrice – frutto per intero della creatività del poeta e nei quali si palesa l’autentica innovazione dell’opera. Bernabei affida infatti a queste tre voci il compito di articolare la riflessione teologica posta alla base del dramma, spingendo all’estremo la meditazione sul dilemma della libertà, a fronte di un Creatore onnisciente e onnipotente, e sul tema parallelo della colpa. Di fronte alle certezze provocatorie dell’Empio, fiorisce il dubbio dell’uomo che vaga alla continua ricerca della verità: alle sue sfrontate accuse dissacranti, ed ai saggi dilemmi del Girovago, fanno da contrappunto gli anatemi e i dogmi dell’Angelo, in un’ accesa dialettica tripartita. Il tutto, come detto, in terzine rimate di alta densità concettuale, affiancate nel volume da una dettagliata parafrasi esplicativa. Questa sacra rappresentazione esplora il significato del patto originario, e pertanto della stessa Creazione, secondo la prospettiva della creatura gravata di limiti e imperfezioni, d’intemperanze e sfrontatezze, ma anche d’una genuina aspirazione a reperire un senso al breve tragitto in questo mondo: Bernabei ci invita a comprendere l’effettivo perché della Passione, confrontandola con il punto di vista della condizione umana gravida di interrogativi ribelli ed inquietanti.

20 Marzo 2015 – ore 20,45 “PASSIO”, di Amato Maria Bernabei Meditazione poetica sulla passione Ingresso Libero

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http://www.edizionitabulafati.it/porro.htm

BERNABEI AMATO MARIA: PASSIO di Liliana Porro Andriuoli

Liliana Porro Andriuoli

Passio è il titolo di un lavoro teatrale in terzine dantesche, apparso nel feb­braio 2014 per la Valentina Editrice di Padova, che trae la sua ispirazione dal tema della Passione di Gesù. Si articola in un atto unico, suddiviso in tredici quadri e preceduto da un prologo, suddiviso a sua volta in altri due quadri, ed è firmato Amato Maria Bema­bei, un poeta già noto per aver scritto due o­pere teatrali in versi (L ‘Inganno, 1990, su commissione di un musicista contemporaneo, e II Ragno, 2000) e per aver pubblicato due florilegi (L’errore del tempo, Chieti, Vecchio Faggio, 1990 e Dove declina il sole, Ragusa, Libroitaliano, 1998) e un Poema epico-­drammatico mitologico, di quasi diecimila versi, ancora in terzine dantesche (Mythos, Venezia, Marsilio Editori, 2006).

Il tema portante di questo nuovo dramma sacro (come d’altra parte recita anche il tito­lo) è costituito dagli avvenimenti della Pas­sione di Nostro Signore, che prende le mosse dal giudizio di Gesù davanti a Ponzio Pilato; giudizio che si conclude con la condanna alla Crocifissione, alla quale fanno seguito I’ascesa al Golgota e la Sua morte sulla Croce. Su tale argomento centrale se ne innestano però diversi altri (ed è questo che rende il la­voro di grande originalità ed interessante) che, pur non essendo strettamente legati all’evento della “Passione”, sono di grande im­portanza ed attualità per l’uomo, come ad e­sempio quelli del peccato originale, della “prescienza” divina (e di conseguenza della libertà delle nostre azioni); ma anche del Be­ne e del Male e della Provvidenza che tollera la presenza del male. A dibattere tali proble­mi intervengono alcuni personaggi non previsti dalla narrazione classica dei testi religiosi (cioè dei Vangeli), ma per cosi dire “inventa­ti” da Bernabei i quali, alternandosi e confrontandosi sulla scena, li affrontano da differenti punti di vista.

Già fin dall’inizio, Quadro 1 del Prologo, incontriamo infatti L’Empio, che con grande protervia agita uno dei mag­giori problemi con cui si è misurata la teologia cristiana: quello di conciliare il libero arbitrio dell’uomo con l’onni­scienza e con l’onnipotenza divine. Egli, riferendosi al Creatore dell’Universo, si chiede: “Perché già pensa – ed il pensar Gli piace – / all’offerta crudele ed all’inganno / della libera scelta senza pace? // Perché, se sa, non lo distoglie il dan­no?” (p. 15). Una domanda angosciosa che disorienta chiunque si ponga il pro­blema di conciliare la “libertà” personale di un individuo (e quindi la conseguente responsabilità del suo agire) con la prescienza divina, se è vero, come af­ferma L’Empio, che la ‘libertà” dell’uomo consiste unicamente nel poter “fa­re o non fare ciò che inesorabilmente fa­rà”, o addirittura ciò che “è già previsto / che farà”.

Diversi altri sono i personaggi per cosi dire “inventati” che interpretano questa Passio di Bernabei: all’Empio infatti, cioè a colui che si accanisce contro i dettami della Fede e cerca di scardinarla, con un linguaggio blasfemo e irridente (“empio” infatti nella sua prima ac­cezione significa appunto colui che offende o disprezza Dio e le cose sacre), fa da controfi­gura l’Angelo, che è la personificazione della dottrina pura, che non conosce ombra di dub­bio, e che contrasta le insidie dell’Empio e della sua dialettica. E ai due personaggi pre­cedenti si aggiunge quello del Girovago, il quale impersona un uomo in preda al dubbio, che tuttavia cerca la Verità e che ha quindi una posizione intermedia tra la loro. Anche questi personaggi, come si diceva “inventati” da Bernabei, appaiono però vivi e vitali, tali da rendere attuale e godibile il lavoro. Fra i personaggi invece non “inventati” dal nostro autore (cioè fra quelli presi dalla tradi­zione giudaico-cristiana) troviamo Lucifero, che fu già angelo bellissimo, il quale però, per aver voluto innalzarsi sino a Dio (cioè per un atto di superbia), fu condannato all’Infer­no. Volle poi coinvolgere l’uomo nella sua rovina e per questo divenne “il Tentatore”, che indusse Eva a mangiare il frutto e causò quindi la cacciata dell’uomo dal Paradiso Terrestre. Egli è il portatore della Tenebra, cui e negato lo splendore della Luce ed è per questo che il seguirlo reca sempre tristezza e sofferenza. Ma s’affacciano qui anche altre figure, quali quella dell’Evangelista, che in­terviene a commentare gli eventi, e quella del Salmista che leva la sua preghiera a Dio.

Di grande effetto è poi l’avvicendarsi delle “Voci” che commentano la scena, come av­viene nell’episodio della cacciata dall’E­den, che si conclude con la condanna divina: “Te farò madre per feroci doglie, / soggetta all’uomo che dischiude o serra. // E tu, poiché cedesti alle sue voglie, / e mangiasti dell’ al­bero proibito, / suderai sul terreno che racco­glie, // di stenti e d’erbe tu sarai nutrito. / Fin­ché, di fango, tornerai nel fango, / dalla pol­vere in polvere finito! // Questo è il giudizio e questo non infrango” (p. 47). Di grande efficacia sono inoltre le scene che rappresentano il contrasto tra L’Empio e il Girovago; mentre ha momenti di notevole suggestione I’Episodio dell’Ultima Cena, dove fa spicco la figura di Giuda, con il suo tradimento e il dramma del suo rimorso, che lo condurrà al suicidio. Compaiono in questa scena anche l’Empio, che cerca di giustificare Giuda, e Pietro, che nega tre volte di essere stato con Gesù (“Tre volte negherai d’essere amico”, p. 61). La Figura che acquista però maggiore importanza in questo contesto è quella di Cristo, portatrice di un altissimo messaggio di fratellanza e di pace: “Nuovo precetto, e modo, specchio e senso, / nell’ora che più l’anima è ferita, // di carità vi lascio e di consenso: / amate l’altro come io vi amai” (p. 61). Vengono successivamente le scene dell’orto degli ulivi e quella della cattura di Ge­sù, commentate dall’Evangelista, che segna­no l’inizio della vera e propria Passione. Ri­torna inoltre, con un nuovo movimento retro­spettivo, il processo a Gesù, che passa da An­na a Caifa, da Erode a Pilato, prima di salire al Golgota: “Anna, Caifa, Pilato e quindi E­rode / e infine il buon diritto del Romano / che la giustizia assimila alla frode, // che sen­te l’innocenza e avverte il piano, / ma il furo­re giudeo più non avversa / e immerge nel la­vacro già la mano…”.

II Quadro X si sviluppa con un alternarsi delle voci dell’Angelo, che ricorda Le Tavole della Legge date da Dio a Mosè e quella de L’Empio, che difende il peccato di Giu­da. Nel Quadro XI si sviluppa invece il contrasto fra L’Empio e l’Evangelista, cui si ag­giunge la voce di Maria, che leva il suo stra­ziante lamento per la morte di Gesù sulla Croce; un lamento che costituisce uno dei passi più alti di tutto il dramma: “Figlio, per­ché non ho grido che gema? / perché non posso tendere le braccia? / Perché le spine hanno contratto il riso, / lo strazio che dissan­gua il corpo impaccia? // Perché sei degno e perché sei deriso? / Perché Gesù se puoi non ti allontani? / Come posso patire il figlio uc­ciso? // Madre che culla e stringe fra le mani / come dà gli occhi azzurri a questa notte? / Da questa notte che vedrà domani? // Da questo vuoto che le stelle inghiotte?” (p. 93).

Conclude il poema, una Processione sulla piazza della Cattedrale di San Giustino a Chieti, che dà luogo ad una Sacra Rappresen­tazione vera e propria, durante la quale ri­compaiono le figure dell’Empio e del Giro­vago, ciascuno con le sue peculiari caratteri­stiche. Le ultime parole le pronuncia I’Evan­gelista, nel Quadro XIII e suonano come una sintesi di tutto il dramma: “II martello sul Monte inchioda il cielo…” (p. 103). Dopo di che il sipario si chiude, lasciando lo spettato­re pensoso per i molti problemi che sono stati dibattuti in questo testo, nel quale Bernabei ha dato prova della sua indubbia capacità di affrontare i grandi temi che agitano l’uomo posto di fronte al mistero del suo destino. E sono i temi del bene e del male, della vita e della morte, della dannazione e della salvezza nell’Oltre, che da sempre lo accompagnano sul suo cammino terreno.

Un lavoro molto accurato questo di Berna­bei, come dimostra anche il fatto che al testo poetico (quello in terza rima), riportato sulle pagine dispari del libro, è affiancata, sulle corrispondenti pagine pari, una parafrasi e­splicativa, opera dello stesso autore. Ed in­dubbiamente ciò consente una più agevole comprensione del testo, e quindi una maggior godibilità delle compiute terzine dantesche del Bernabei. Sobria ed elegante anche l’edizione che, ol­tre a un disegno di Maria Luisa Zabeo, con­tiene molte immagini del Cristo, una delle quali, ripetendosi costantemente sulle pagine dispari del libro, crea una particolare sugge­stione, conferendo unità all’insieme.

Liliana Porro Andriuoli

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ESEMPIO DI OTTUSA (e diffamante) RECENSIONE

I responsabili della Rete Bibliotecaria Bresciana e Cremonese, organizzatori del Concorso Microeditoria di Qualità, al quale nel 2014 il mio Editore volle iscrivere il libro Passio, da poco edito, pubblicarono (a firma di una certa Virginia Magatelli) la recensione riportata in immagine, che, a dir poco, è semplicemente ridicola fino ad essere offensiva. Il breve scritto, che dà risalto alle rilevanti qualità tipografiche del volume e molto meno al valore della poesia del dramma sacro, fin dal primo paragrafo riporta osservazioni gratuite e assolutamente estranee all’opera poetica: io, infatti, non ho mai avuto la benché minima idea di finalizzare la stesura del poema “all’uso liturgico come proposta alternativa ai testi tradizionali in uso per la celebrazione del Passio”. Come non è vero che ho attuato consapevolmente “scelte contenutistiche che vanno dal Libro di Giubbe [nemmeno in grado di controllare l’ortografia: il Libro di Giobbe, volevano scrivere!), alla Patristica [...] a Giovanni della Croce. È da ignoranti riferire che “la parafrasi presenta un uso perfetto delle terzine”: è il poema che è scritto in terzine, non la sua parafrasi, che figura in prosa nelle pagine a fronte. È offensivo e infondato scrivere che il poema contiene “parolacce”, le quali per di più sarebbero giustificate dall’ottimo aspetto tipografico del volumetto (considerazione da stolti o ironica insulsaggine!). Chi riesca a rinvenire nel poema anche una sola mezza parolaccia, ugualmente avrà avuto un clamoroso abbaglio. A meno che la superficialità (se non addirittura l’analfabetismo funzionale), non abbia avuto il sopravvento e le parole sprezzanti dei versi 758-759 “taglia la lingua e butta nello scolo / se barbuglia parole d’acque nere” pronunciate dall’Angelo contro l’Empio, non siano state fraintese, attribuendo a scolo il significato (assurdo nel contesto) di malattia venerea (la blenorragia, chiamata comunemente scolo) anziché quello consono di scarico fognario. Anche in questo caso, tuttavia, più che di uso di trivialità si dovrebbe parlare di crudo impiego di termini tecnico-scientifici. A scopo informativo si tenga presente che in Italia la percentuale delle persone che “pur avendo sviluppato la capacità di leggere e scrivere non sono in grado di comprendere a fondo il significato del brano letto e, men che meno, sono in grado di utilizzare la scrittura al fine di farsi comprendere da altri eventuali lettori” (analfabetismo funzionale) è del 47%, la più alta fra i Paesi sviluppati (pare che ormai riusciamo ad essere primi solo in senso negativo). Chissà allora quanti saranno quelli capaci di decodificare un “poema teologico”!

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Passio: Pagina di presentazione  —  PASSIO: INTERVISTA SU 7 GOLD

LETTURA TEATRALE – Torreglia, 20 Marzo 2015

Per ordinare il libro: valentini2609@gmail.com

 

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