Il FASTIDIO DELLA NONA

Ascolto e lettura delle Nove Sinfonie

Albert Graefle, Gli amici intimi accanto a Beethoven (1876)

Poco più di dieci anni fa mio fratello Mauro mi inviava l’introduzione del saggio sulle Nove Sinfonie di Beethoven, che aveva in progetto di scrivere. Da allora, e fino alla scomparsa, non ho più avuto notizie dello scritto. Pubblico pertanto, in memoria ed in omaggio alla sua variegata e profonda gamma di conoscenze, il frammento di cui dispongo, nella speranza che possa stimolare una riflessione controcorrente sul grande musicista tedesco.

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INTRODUZIONE  

Mauro Bernabei

Cinquantotto anni fa correva l’anno di grazia 1953, la cui primavera resterà memorabile per più di un motivo. Apertasi mentre al Cremlino infuriava la lotta per la successione di Stalin, morto il 5 marzo, si chiudeva ad un mese di distanza dalla fine della guerra di Corea. Fine per modo di dire, poiché all’armistizio di quell’anno ha fatto seguito non un trattato di pace ma una condizione di continua belligeranza, aspramente rinverdita negli ultimi tempi. Fra i grandi eventi scientifici, va ricordata la scoperta della struttura del DNA, conseguita fortunosamente da Watson e Crick che con Wilkins si divideranno il Nobel ‘62. Su questo sfondo le vicende di casa nostra.
Il 31 marzo fu promulgata la legge truffa che assegnava un forte premio al partito o coalizione che, nelle elezioni politiche, avesse conseguito, su scala nazionale, la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, nessuno appioppa un simile epiteto ad una legge ben più truffaldina che assegna un premio, sia pure meno consistente, al partito o coalizione che consegua una qualunque maggioranza relativa. Si deplora invece, con ipocrita indignazione, l’abolizione del voto di preferenza, come se l’impossibilità di scegliere i candidati nella lista predisposta dai partiti, tipico sbocco del clientelismo, costituisca una sostanziale limitazione del diritto di voto.
L’11 aprile, sabato dopo Pasqua, il ritrovamento del corpo di Wilma Montesi a Torvaianica diede inizio al celeberrimo affare che avrebbe devastato il mondo politico. Nel mese successivo, a pochi giorni di distanza dalle elezioni tenute il 7 giugno, cominciarono a diffondersi pesanti accuse di corresponsabilità nel fatto e di indebita copertura, riguardanti uomini politici e magistrati di primo piano. Il premio di maggioranza non fu attribuito perché la maggioranza assoluta mancò per un pelo, sicché non è del tutto fuori luogo ritenere che il risultato sia dipeso pure dall’affare, oltre che, principalmente, dal gran numero di schede invalidate.
A me, non ancora diciottenne, la primavera recò invece un munifico regalo. Ero intento alla preparazione dell’esame di maturità classica e, sebbene soverchiato dalla mole del programma triennale di tutte le materie perché, frequentando una scuola non statale, dovevo presentarmi come privatista, trascorrevo le mie giornate serenamente. Indotti dalle disquisizioni di sociologi, psicologi e tuttologi, i traumi sarebbero stati infatti appannaggio delle generazioni successive, visto che gli esami di stato, pur essendo diventati un gioco da salotto, costituiscono adesso una vexata quæstio che imperversa su stampa, radio, televisione e Rete, a tempo indeterminato.
Mio padre, tornato per un breve periodo dal Venezuela, dov’era emigrato cinque anni prima, volle anticipare il regalo per la maturità e, su mia richiesta, mi comperò molte partiture d’orchestra e carta pentagrammata. Il dono, insperato per via della spesa che, in tempi di relative ristrettezze, mi sembrò notevole, appagò un desiderio nutrito da tempo. Fra le partiture figuravano le nove sinfonie di Beethoven che ancora conservo, [1] dopo averle lette, rilette, studiate e ascoltate un numero imprecisabile di volte. Sulla prima pagina di ognuna, dopo il titolo, c’è la mia firma e la nota: “III° Liceo 24 Maggio 1953”.        Ero, allora, infatuato di Beethoven e conoscevo abbastanza le sinfonie, gli ultimi due concerti per pianoforte, il concerto per violino e alcune ouvertures, molto meno la musica da camera, ascoltata saltuariamente, così come la Missa Solemnis e il Fidelio, ascoltati una sola volta per devozione. La fonte di cui disponevo era unicamente la radio, prodiga a quel tempo di musica colta, in particolare sul Terzo programma, di cui ricordo la nascita nel 1950, che, per fortuna, riuscivo a ricevere a onde medie dalla sola trasmittente in modulazione d’ampiezza, perché avrei dovuto attendere il 1958 per godere il sospirato lusso della modulazione di frequenza.
Nell’estate del 1952 avevo acquistato, con la spesa non indifferente di 350 lire, un commento alle nove sinfonie. [2] Sulla scorta dei temi riportati nel commento, diligentemente richiamati ad ogni audizione, cominciai a capire la forma e la logica costruttiva di ogni parte delle sinfonie, circostanza che mi dispose a un ascolto più comprensivo e appagante. Il mio entusiasmo beethoveniano aumentò di conseguenza e questo spiega il disagio, dapprima vago e inconfessato, poi consapevolmente crescente, fino a diventare un vero fastidio, che provai nel leggere, sulla partitura della Nona sinfonia, le variazioni del terzo movimento.
Recepivo acriticamente la caterva dei luoghi comuni che hanno creato il mito romantico del Titano e respingevo con sdegno ogni giudizio che non fosse laudativo e osannante nei riguardi del Sommo Genio. Cercavo un appiglio per convincermi che il disagio avvertito fosse attribuibile a qualche ingiustificata fisima. “Senti” dissi un giorno a un amico, “senti che meraviglia!” Con partitura alla mano, in mancanza di uno strumento, presi a canticchiare e a fischiettare la parte del primo violino della prima delle variazioni suddette, dalla battuta 43 alla 54 (Es. 1). “È troppo faticoso e stanca” sentenziò il mio amico che non conosceva la Nona sinfonia.
Così sembrava anche a me: faticoso, macchinoso e non proprio bello. Si potrebbe obiettare che di un capolavoro come la Nona sinfonia non si può avere nemmeno una pallida idea, canticchiandone e fischiettandone la parte di un solo strumento. Certo, gli ottavi scanditi dal pizzicato di violini secondi e violoncelli e dallo staccato dei corni, assieme alle note dei clarinetti e delle viole, forniscono una cornice suggestiva all’affannoso ansimare dei primi violini, una bella cornice per un brutto quadro. Suonare con bidoni o campanacci una splendida melodia può irritare l’ascoltatore di buon gusto, non ne distrugge però l’ineliminabile bellezza.


[1] Le nove sinfonie, in edizione da studio, costarono 4˙550 lire, pari ad oltre 200 degli attuali euro.
[2] Le nove sinfonie di Beethoven, commento storico-musicale di Max Chop, a cura di Ervino Pocar, con 145 temi musicali, Arnoldo Mondadori 1952 (citato in seguito come MC).

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Il fastidio della Nona

(La presente pagina è del Gennaio 2022)

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