.

  Hanno detto di “Mythos”

Gianfranco De Turris è Vicedirettore della Cultura per il giornale radio RAI, curatore e conduttore della rubrica L’Argonauta, saggista ed esperto di Letteratura fantastica, responsabile delle edizioni italiane di numerosi classici stranieri del genere, scopritore di talenti e artefice di varie antologie di autori italiani. È stato presidente del Premio Tolkien, dedicato alla narrativa fantastica.

“Una puntata, questa, tra passato e futuro, con un poema epico di diecimila versi scritto nel ventunesimo secolo ed una storia della medicina dell’antica Roma, una biografia romanzata di Stevenson ed un film sul confronto tra l’uomo e la morte, il ritratto dello scienziato che teorizzò il Big Bang e l’incontro con l’uomo bionico. Siamo inattuali, cari Argonauti notturni, e non consideriamo questo una colpa, un handicap, ma c’è chi lo è più di noi e rasenta l’insania mentale, perché solamente un folle poteva scrivere un poema in terzine dantesche con soggetto la mitologia greca ed un editore altrettanto folle stamparlo! Ma ricordatevi chi era e cosa fece il Puro Folle del ciclo dei cavalieri della tavola rotonda. [1] È di questo che si occupa Antonella Ambrosioni nel suo focus” (Gianfranco De Turris).

Un titolo semplice, lapidario come un soffio, Mythos, per un’impresa titanica, un poema epico-drammatico scritto dal professor Amato Maria Bernabei per Marsilio, quasi diecimila versi scritti in terzine dantesche. Può essere una sfida, un’evasione intellettuale o un’incursione negli archetipi mitici, nelle nostre culle più profonde, e può essere tutto questo insieme. Ciò non toglie che non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione per chiedere al professor Bernabei che cosa lo ha spinto a questa faticosa scalata verso l’Olimpo.

È come un grido che io ho voluto emettere contro un’insopportabile faciloneria. Quando io leggo la cosiddetta poesia contemporanea, rimango sempre molto, molto sconcertato… Quando si parla di poesia come genere… penso sia nato un fraintendimento… per cui si finisce per affidare il sentimento a certe cadenze talvolta gratuite… quell’andare a capo arbitrario… Quindi contro questo ‘genere’ in decadenza io ho voluto rivendicare il rigore, la perizia, il suono, la musica…”.

Poi c’è il racconto mitologico. Lei come spiegherebbe a un uomo contemporaneo come tutti i personaggi del mito siano in qualche modo i nostri compagni di viaggio?

Il mito è nato con l’esigenza dell’uomo di conoscere, esigenza che non è mai tramontata e che non potrà mai tramontare… i personaggi dei miti non sono stati altro per me che dei contenitori in cui ho cercato di versare le nuove conoscenze, le nuove istanze, gli eterni interrogativi… quindi io non trovo l’uomo moderno distante dall’uomo antico…”.

 Da più parti viene registrato, nell’interesse diffuso, un ritorno all’antico: lei l’ha avvertita questa nuova esigenza di senso, anche durante la stesura del suo poema?

L’ho avvertita e non l’ho avvertita, anche perché sono convinto che quando si voglia una rinascita vera bisogna promuoverla… e oggi si fa davvero poco per promuovere la rinascita, perché è molto proficuo dare quello che la gente vuole pigramente… perché così è molto facile vendere… sarebbe molto più impegnativo prima addestrare, prima preparare, e poi vendere prodotti più elevati”.

Un libro come il suo solitamente viene bollato dagli Editori come inattuale e quindi poco incisivo sotto il profilo mediatico: lei cosa risponde a questo?

Come aveva anche notato nella presentazione a Padova il professor Armando Balduino, l’‘inattualità’ di quello che io propongo è semplicemente apparente, perché la presenza del mito nella storia della Letteratura italiana e mondiale è costante, proprio per quegli archetipi di cui lei parlava… Quindi mi sono reso conto che il mito desta sicuramente ancora curiosità… Se il mito è un contenitore, la contemporaneità può versarsi in quel contenitore e rintracciare le proprie radici, o meglio, addirittura, riscontrare gli elementi comuni che ci sono a distanza di secoli tra gli uomini di un tempo e gli uomini di oggi”.
http://www.radio.rai.it/radio1/argonauta/view.cfm?Q_EV_ID=242713
(pagina non più presente in Rete)


[1] «Nel racconto di Chrétien de Troyes, Perceval o il racconto del Graal, all’inizio dell’avventura, il giovane Perceval è all’oscuro di tutto, vive in uno stato quasi selvaggio accudito dalla madre e dai servitori. È giovane, sta per entrare nell’età adulta, ma è come se non fosse ancora nato, addirittura non viene chiamato con il suo nome… è il puro Folle. Puro perché non contaminato dal mondo, è vissuto nella foresta ed è come se avesse continuato a vivere nel grembo materno, folle perché ignorando totalmente le regole del vivere in società il suo comportamento ai più sembra dettato da follia… Ma nonostante la Follia o proprio grazie ad essa decide di seguire la Luce… Qui mi sovviene l’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam che indica nella Follia il motore della storia, per cui nascono e muoiono imperi, città, si formano famiglie, si intraprendono viaggi, attività economiche, ecc. Il saggio, prudente qual è, rimane in casa senza gettarsi in avventure e si accontenta del suo stato e non sogna. Il Folle sogna e qui mi sovviene Lawrence D’Arabia e il suo aforisma sugli uomini che sognano. Recito a memoria. “Esistono due tipi di uomini quelli che sognano quando dormono e quelli che lo fanno ad occhi aperti. Di queste specie di uomini la seconda è la più pericolosa perché lotta per realizzare i suoi sogni”» (da Brevi riflessioni sulla follia di Perceval, di Vito Foschi).

Ascolta:
Radio 1, L’Argonauta 24/02/2008
(I salti nel nesso sintattico sono dovuti al montaggio radiofonico)

(“Sotto la mannaia del neo direttore di Radio Rai Uno, Flavio Mucciante, è incappato anche un gioiellino culturale, L’Argonauta, lo spazio dedicato alla cultura popolare, più vicina al pensiero di centro-destra, dai libri ai fumetti alla fantascienza, che andava in onda da ben 12 anni alla domenica sera sul primo canale della radio pubblica. La trasmissione, ideata da Gianfranco de Turris e condotta da Paolo Corsini, è andata in onda per l’ultima volta ieri sera. Ma i responsabili, delusi per l’inaspettata decisione, sperano che venga «recuperata» in altri spazi, vista anche la brevità (dieci minuti) della medesima” (il Giornale.it, 7 aprile 2014).

_ _ _ _ _ _ _

 

Prof. Giorgio Bàrberi Squarotti (1929-2017), Ordinario
di Letteratura Italiana all’Università di Torino, critico, poeta, responsabile scientifico del Grande Dizionario della Lingua Italiana

Un’opera di poesia originale e autenticamente inventiva…
(Torino, 16 Gennaio 2008)
Una straordinaria impresa poetica e filologica… con tutto il rigore degli avvenimenti e dei personaggi e con la reinvenzione dei canti, secondo l’uso della Commedia, in terzine perfette… La grandiosità di Mythos non ha pari. (Torino, 21 Dicembre 2007)

Massimo Cacciari, Sindaco
di Venezia, Filosofo,
già Ordinario della Cattedra di Estetica presso l’Università di Venezia

…Ricevo il suo impressionante volume e lo apro con “timore e tremore”. Opere che sembrano venire da altri mondi, più ancora che da altri tempi! Un ciclo da Apollonio o da Ovidio! Questa così diretta e “clamorosa” inattualità desta davvero ammirazione. E spero la sua fatica sia riconosciuta come merita. Da parte mia, ne parlerò ovunque possibile… (Venezia, 1 Agosto 2007)

Prof. Armando Balduino Ordinario
di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia dell’Università di Padova
.

Questo è un libro molto denso e molto difficile, nel senso che non basta avere quelle nozioni di mitologia classica che un Italiano medio della mia età ha ricevuto dal Liceo in poi – non oso pensare quale sia la situazione delle ultime generazioni-; la difficoltà è tale per cui il libro va letto con grande lentezza… va centellinato terzina per terzina, e ci si rende conto abbastanza presto che se ne perderebbe una buona parte se non si utilizzasse il capitale, prezioso commento che accompagna i singoli canti e che per una parte molto importante del libro è tra le qualità più apprezzabili, perché solo il commento permette un’esegesi puntuale di certi passaggi e consente poi di ricuperare una serie di dettagli che riguardano la mitologia, che solo gli specialisti possono cogliere, anche perché entrano in genere per allusioni e non in maniera diretta… Sia per il tema, sia per il genere, “poema epico-drammatico”, sia per la forma (l’uso, giustissimo in questo caso, mi pare, delle terzine incatenate), Mythos si presenta come un libro vistosamente “inattuale”. Però bisogna chiedersi fino a che punto lo è e se lo è davvero. Qui, credo, può essere opportuna qualche postilla che allarghi storicamente il quadro. Già nei Padri della Chiesa (penso in particolare al Terzo Libro del De civitate Dei di Agostino, o anche a Lattanzio e ad altri) era chiaro che una religione può sprofondare, ma che una mitologia, in quanto tale, può risultare insopprimibile, e quindi è destinata in vari modi a sopravvivere al di là di quelli che sono gli orientamenti della civiltà e della religione. E così fu, in effetti, con esiti anche sorprendenti. Voglio citare un caso. È singolare l’esempio fornito dalla secolare fortuna, che dura circa quattro secoli, che toccò a un libro poco noto che è la così detta Ecloga Teoduli, scritta tra il IX e il X secolo da un frate, che è strutturata in quartine, questa volta, dove ci sono due personaggi che discutono fra di loro e che si chiamano Psèustis, la menzogna, cioè mentitrice, e Alisia, la verità. I due discutono contrapponendo e paragonando episodi della mitologia classica ad episodi della storia cristiana, mettendo in luce una serie impressionante di analogie: il Diluvio universale di Deucalione con il mito di Noè; la Gigantomachia con la Torre di Babele (assalto al cielo); Ippolito con Giuseppe, eroi esemplari della castità; la forza prodigiosa di Ercole con quella di Sansone, e così via. Ora questo libro entrò nel canone scolastico e ci restò per quattro secoli, ed era un modo con cui nelle scuole, per chi aveva il privilegio di frequentarle, si imparava nello stesso tempo la Storia Sacra della Bibbia e la mitologia… Per secoli e secoli la presenza della mitologia restò poi vistosissima, in certi momenti straripante, anche se, questo va precisato, dalle interpretazioni allegorico-moralistiche tipiche del Medioevo fino ai tempi di Giovanni Del Vergilio, si passò a quelle eveniristiche, che hanno radici antiche, ovvero alla mitologia intesa come travestimento leggendario di fatti realmente accaduti. Questo, con conseguenze anche letterarie, permette che Emera possa entrare nel disegno divino che porta alla creazione dell’Impero, o permette per esempio al Petrarca che scrive il De viris illustribus, di comprendere non solo personaggi reali della storia, ma anche Giasone o Ercole, al quale subito dopo dedica un libro Coluccio Salutati, il De laboribus Herculis. Ma forse non si riflette, o si sottovaluta il fatto, che la vitalità della mitologia restò per secoli tale da spingere tantissimi autori ad arricchire il patrimonio tradizionale con l’invenzione di propri miti. Gli esempi sono infiniti: il Boccaccio del Ninfale fiesolano o dell’Ameto; il Poliziano, non solo delle Stanze, ma anche degli splendidi volumetti in Latino come Fedris o la Sylva; l’Adone, che permette al Marino di scrivere una specie di enciclopedia dei cinque sensi; Le Grazie del Foscolo, fino a certo Pascoli o a certo D’Annunzio. Ora già questo fa capire che dire tema inattuale non è così scontato. Perché occorre anche intendersi su questa qualità. Guardando al Novecento e anche volendo sorvolare sulla importanza che molti miti hanno nelle riflessioni di Freud e più ancora di Jung, si vede che anche l’ultimo secolo è punteggiato da ritorni alla mitologia, e fino a tempi recenti. Lasciamo perdere il caso particolare dei Dialoghi con Leucò di Pavese, ma per esempio non sarà un caso se divenne un bestseller internazionale il romanzo Cassandra, di Christa Wolf (1983), o se altrettanto successo mondiale ha avuto Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso (1988), e che alla mitologia ancora si ispirino incontri anche di notevole livello, come ha scritto per esempio Gesualdo Bufalino, più spesso Antonio Tabucchi, e che dalla mitologia siano nati due autentici capolavori dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, che sono Morte della Pizia e Minotauro, con il sottotitolo Ballata degli specchi.

Con questa lunga inserzione storica miravo a dire che in questo fertile filone si inserisce il poema Mythos. Comunque Bernabei ha scritto un libro che contiene pagine di autentica poesia: sarebbe utile forse leggere qualche passo e commentarlo, ma come si è detto la densità del testo è tale che senza avere il testo stesso sottomano sarebbe difficile constatarlo. L’opera ha uno dei suoi punti di forza nella costruzione interna, cioè nell’alternarsi di più voci, dove oltre ai protagonisti di volta in volta intervengono un narratore, più o meno discente, che ha nome di Menestrello, e due giovani uditori, che imparano strada facendo da quello che sentono, che hanno i nomi di Oriòne e Meròpe. Questo anche mi porta a dire che mi sono via via convinto che sia un libro che non solo va letto, ma che forse si può pensare, magari a sezioni, ancor più presentato con una recitazione a più voci: cosa per cui è già strutturato, anche se ad ogni sequenza dovrebbe essere premessa un’illustrazione complessiva che magari potrebbe fare l’autore. Mi auguro che questa via di trasmissione possa realizzarsi e ottenga l’esito che merita. Naturalmente ognuno ha le proprie preferenze: io posso dire che mi ha particolarmente affascinato la lunga sequenza che riguarda Tesèo, che ho molto apprezzato, o il capitolo su Apollo, perché mette direttamente a contatto mitologia e poesia, oppure la splendida storia di Filemone e Bauci, e altro.
Una delle cose che colpisce in questo libro è che non è mai banale e soprattutto non è mai scontato, perché anche là dove uno crede di sapere tutto, che so io, di Fedra, legge e trova cose a cui non aveva pensato e le trova con una finezza veramente eccezionale. Mi dimenticavo però, visto che ho parlato di varie interpretazioni, di quella cui l’autore si attiene, quella tautegorica, con termine tecnico, cioè quella per cui si valorizza il racconto mitologico in sé, come qualcosa di autosignificante. Il nostro Bernabei è molto esplicito sulle sue scelte; in una noticina a pagina 350 si annida questa precisazione, in riferimento al mito di Bellerofonte, che dice:
In genere noi evitiamo di introdurci nel dedalo della storia e della filologia, o di addentrarci nelle interpretazioni e nella simbologia, salvo i casi in cui individuiamo degli elementi poetici ed ispiratóri. Continuiamo a preferire lo strumento del mito come spunto per riflessioni diverse, esistenziali, psicologiche, “fisiologiche”: il nostro vuole essere un discorso sull’uomo.
Questo credo che sia l’intento essenziale, la linea costruttiva del libro.
(Padova, Caffè Pedrocchi, 5 Maggio 2007)

Prof. Manlio CortelazzoEmerito Prof. Manlio Cortelazzo illustre linguista, autore con Paolo Zolli di un  dizionario etimologico della lingua italiana edito dalla Zanichelli.

Questo volume guarda moltissimo indietro, anche se biso-gna notare che l’amore per la mitologia è costante in tutti i secoli della nostra letteratura. Aggiungerò che anche il metro scelto, dopo tanto infuriare di versi liberi, è tornato un po’ in auge: un po’, perché è difficile estirpare una moda così radicata come quella del verso libero. Il Professor Bernabei deve amare i lettori, perché ha fatto da solo quello che di solito fanno tre autori diversi: primo, ha scritto il testo poetico, in terzine di tipo dantesco, nei ritmi cioè della Divina Commedia; poi ha fatto la parafrasi, che è una cosa indispensabile per non cadere, come succede quasi sempre, in interpretazioni personali che non siano quelle volute dall’autore; in terzo luogo ha arricchito il testo con note tanto profonde e tanto varie da destare ammirazione. La lingua dell’opera è naturalmente classicheggiante, e non potrebbe essere altrimenti: trattando fatti mitologici più o meno noti, non si poteva fare una scelta diversa. Il libro è certamente difficile, ma di piacevole lettura. Qualcuno forse troverà un po’ strano questo accostamento, ma le cose stanno proprio così, specialmente per quelli delle nostre generazioni, abituate ad avere più contatti con il mondo classico, e per le quali quasi tutti i nomi dei protagonisti dei miti sono familiari, noti, forse però superficialmente noti. Questo riesame della mitologia classica attraverso un commento continuo e puntuale, rende piacevole anche la lettura di un libro di questo tipo, per il quale bisogna riconoscere che o è bravissimo l’autore, o è intuitivo l’editore: fatto sta che il libro c’è e vi consiglio di darci un’occhiata. (Padova, Caffè Pedrocchi, 5 Maggio 2007)

Prof. Silvio Mastrocola, Ordinario di Storia della Letteratura europea presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli.

Parliamo di un libro che è straordinario, nel senso che esce fuori da quello che può essere il solito tradizionale, normale di un libro. Non è un libro di avventura, un libro di orrore gotico, come quelli che vanno di moda oggi, non è un libro inchiesta, così come ne sono stati pubblicati tanti nell’ultimo periodo, che hanno avuto straordinario successo, non è un libro da cannibale, insomma, non è neppure una storia d’amore languida e favolosa: è un libro che è un grande atto di riconoscimento verso la culla stessa della nostra civiltà europea. Non dimentichiamo che il mondo attuale, il mondo occidentale, è nato proprio nel momento in cui, in quelle isole dell’Asia Minore, in quelle colonie greche, qualcuno per la prima volta si è posto una domanda fondamentale: ma perché le cose sono così? potrebbero essere diverse? [...] Nella prefazione del dramma Sei personaggi in cerca d’autore, Luigi Pirandello afferma che il personaggio, quando diventa tale, quando esce dal magma indistinto della vita e diventa una forma, raggiunge una consistenza, si cristallizza per sempre… Il mito ha questo di straordinario, che fissa per sempre un atto di vita, ciò che può essere ripetuto. Ogni giorno, io ne sono convinto, sul tram, nella metropolitana, nei garage, nel nostro condominio, noi incontriamo Nausica, Medea, abbiamo a che fare con gente che è simile a Teseo, o è Piritoo, o Elettra… Ogni giorno il mito si ripete, perché è una cosa eterna, è dentro la nostra stessa esistenza. E che cosa spiega il mito, che cosa coglie? Il mito è ciò che è assoluto, la trascendenza della natura, ma che si svolge nella natura stessa, nell’hic et nunc, non va oltre, né può andare oltre. Amato Bernabei questo lo ha sentito dentro… ha sentito il mito, appunto, in questa straordinaria dimensione. Il mito è il momento nel quale l’odiosa e inutile, ripetitiva, monotona condizione di vita, diventa qualcosa di luminoso, di numinoso, in una sorta di mondo a mezz’aria, che è il mondo nel quale la bellezza trionfa… non una bellezza astratta, ma una bellezza che si fa carne, che si fa vita, che si fa luce… Le sue terzine, perfette sotto il profilo metrico e sotto il profilo musicale, se anche difficili, complicate… rappresentano una sorta di sfida verso il mondo moderno, difficile, duro, strano, al quale reagire in qualche modo si può. Amato Bernabei l’ha dimostrato attraverso questo libro, nel quale è difficile dire di che cosa si parli, perché si parla in effetti della vita, della luce, della bellezza, ma si parla soprattutto di quello che è il destino stesso dell’uomo, destino che secondo me Bernabei, sia pure inconsapevolmente, ha desunto da un altro grande, che è anche il più moderno dei narratori del Novecento, quello che ha aperto la strada a gran parte del romanzo moderno: alludo a James Joice, che ha avuto la stessa intuizione. Joice ha capito infatti, sulla scia di Svevo, che le cose umane, anche la più miserabile, o la più bassa delle condizioni umane, possono essere riscattate se le si illumina di una luce nuova, diversa, se le si fa sentire presenti per sempre… Una delle più grandi inesattezze del mondo moderno è di pensare che si possa essere grandi poeti così, spontaneamente, che si è poeti semplicemente perché si è dotati di una capacità. Niente di più falso. Dice uno che ne capiva molto di letteratura, Petronio: multos iuvenes carmen decepit, la poesia ha già ingannato molti giovani. Chiunque ha scritto poche righe crede di essere ormai giunto in Elicona… bisogna invece possedere una mens inundata litteris… una mente irrorata, vivificata, fortificata, corroborata da quella che è una specie di acqua divina. È così, mi pare, per questo libro, che è una specie di grande imbuto, di grande contenitore… Mi viene in mente il momento nel quale si conclude un grande libro che non ha avuto la fortuna che meritava: Il deserto dei Tartari, di Buzzati. Nella parte conclusiva del romanzo, il tenente Drogo prende la spada ed esclama: “Vai avanti, combatti, tanto nessuno potrà fermare la morte”.
Eppure, a volte, l’arte riesce a farlo!
[...] Concludo con una riflessione che ritengo di fondamentale importanza. C’è un valore pedagogico del mito che va salvaguardato, valorizzato. Il mito non è soltanto se stesso, ma è portatore di un insegnamento, di una profonda verità, che non è male che i nostri giovani imparino o con cui quanto meno si confrontino. C’è una forza persuasiva nella poesia tale che uno può leggere cinquecento pagine di storia senza poter cogliere quello che Leopardi o Montale riescono a comunicare in un verso. La poesia dice le parole vittoriose, le parole eterne! Il senso di un’epoca, il senso di una civiltà, è dato dai poeti… Questa è la forza della poesia, che abbiamo purtroppo smarrito. (Padova, Caffè Pedrocchi, 5 Maggio 2007)

Prof. Giuliano Pisani, grecista e latinista, studioso di filosofia antica e umanistica; Presidente della Delegazione AICC di Padova e del ComitatoTecnico del Campiello Giovani; ideatore del Progetto europeo Gemine Muse.

Questo libro dà emozione… è un poema epico-drammatico di grande unità, che mette insieme l’epica, che è canto, con il dramma, che invece è poesia agita, deve essere rappresentata… Se io tentassi di trovare dei riferimenti a questa poesia, direi che essa è per molti aspetti una poesia ellenistica, con una profondità però di contenuti che sfuggiva alla poesia ellenistica, che era più che altro uno straordinario gioco. Per certi aspetti anche qui c’è il gioco, ma inteso nel senso alto della parola ludus, non gioco dell’effimero, anche se è un divertimento, nel senso anche questo etimologico di “io mi discosto”, disverto, mi porto fuori… Il poeta parla di profondi concetti che riguardano l’attualità del vivere e ne parla creando una realtà illusoria, diversa da quella che nella quotidianità si vive: esattamente la funzione che in età ellenistica veniva di fatto data al mito. In questo modo il libro ha un doppio effetto terapeutico. Il primo è raggiunto dal tragitto che i due giovani, Meròpe ed Orione, compiono con il Menestrello, che racconta loro delle storie straordinarie, le quali, sebbene sotto l’aspetto illusorio, aiutano a misurare e a comprendere la complessità di tutto ciò che è esistenza, nei temi dell’amore, della morte, della vita, della passione, del desiderio…; guidano, attraverso la visualizzazione operata dal racconto ed attraverso la comprensione della materia analizzata, verso la scoperta di una via che possa servire per un percorso di vita. Il secondo effetto terapeutico è frutto della bellezza, la bellezza della poesia di Amato Bernabei. Lo dico con molta modestia: questa è poesia bella, e la bellezza diventa terapia, la terapia una salvezza. La bellezza di questa poesia è una terapia perché non dà l’emozione del frammento, o del verso libero, ma quella che discende dall’essere costretti ad una lettura attenta, ad una lenta scoperta. Forse è una banalità quello che dico: ma Dante può essere forse preso e letto così? e immediatamente compreso? No! Il lettore deve entrare a poco a poco in quel mondo complesso, così straordinariamente costruito, così pieno di significati, deve penetrarlo. Anche nel caso di Mythos non è possibile un approccio d’impulso, immediato, perché questa poesia è dottrina, meglio, quello che gli antichi chiamavano doctrina: Amato Bernabei è un poeta doctus, un poeta, cioè, che ha la conoscenza, non solo dei contenuti, ma della tecnica. Naturalmente non si possono costruire “terzine” con la sola ars: ci vuole l’ingegno, ci vuole l’amabile dono delle Muse: una cosa è la semplice conoscenza, la tecnica, altro è il dono della poesia! E Bernabei il dono della poesia ce l’ha… e la bellezza con cui ha costruito gli endecasillabi dà profonde emozioni. Versi dove non si scorgono nemmeno tante citazioni lontane, pregresse, per le quali uno potrebbe dubitare dell’originalità: qualche sentire evocato c’è, ma davvero poco. Va dunque data lode grande a chi questo poema l’ha scritto, ma anche all’Editore Marsilio, in un’età infelicissima per la poesia! Per quanto riguarda infine l’attualità del poema, io credo che in questo caso non ci sia niente di più straordinariamente attuale dell’inattuale. (Padova, Caffè Pedrocchi, 5 Maggio 2007)

Prof. Patrizio Zanella, giornalista, storico, laureato in Filosofia, in Storia e in Scienze religiose, ex Assessore alla Cultura del Comune di Vigonza (2003-2007)

Gent.mo Prof. Bernabei,
complimenti vivissimi! Ho ricevuto il testo Mythos, poema epico drammatico (Marsilio Editori, pp. 586), che lei gentilmente ha avuto la cortesia di farmi avere. Mi sono subito messo a leggere le prime pagine del ponderoso testo oscillando fra le terzine e le preziose note di commento. C’è la summa del sapere umano condensato in forma metrico-poetica. Mi piace, fra le tante terzine lette, ciò che fa dire ad Afrodite a pagina 15: «Una speranza umana ha scarso lume / e non prevede  l’atto che l’esprime: / ala che rompe il volo senza piume». È quanto avviene anche talvolta nella politica quando esprimiamo “speranze e intenzioni” che dovrebbero giustificare le nostre scelte e il cui esito – in assenza della controprova – non sempre ci è dato di veder realizzato. Vale la pena quindi volgere lo sguardo altrove e provare a vedere in controluce, come fanno gli Dei che sono «in grado di valutare lo spazio e la forma che incide lo spazio». Sono certo che qua e là troverò altri motivi che appagheranno la costanza di leggere così tante pagine.
Condivido in toto anche quando ringrazia… «il popolo greco per la sua tradizione “meravigliosa”»…, tradizione che purtroppo l’uomo europeo-occidentale sembra ignorare o aver smarrito. Edmund Husserl in una celebre conferenza tenuta a Vienna nel 1935, dal titolo: “La crisi dell’umanità europea e la filosofia” disse che: «L’Europa spirituale ha un luogo di nascita. Non parlo di un luogo geografico, di un paese [...] parlo di una nascita spirituale che è avvenuta in una nazione, o meglio in singoli uomini di questa nazione. Questa nazione è l’antica Grecia del VII e del VI secolo a.C.».
Con il suo testo ora lei prova a ridestare nell’uomo stupore e meraviglia verso il mondo che lo circonda sia pure con le sue illusioni. Le auguro la miglior fortuna editoriale, e si ritenga già fin d’ora invitato a presentare il libro nel contesto dell’iniziativa «Pagine & Autori. Incontri » che avrà inizio fra qualche settimana.
Con viva cordialità e gratitudine.
Vigonza, 17 Novembre 2006

Professor Francesco Mercadante, Esperto in Gestione delle Situazioni Critiche, Analista del Linguaggio e della Comunicazione, già docente di Analisi dei Testi e di Laboratorio di Scrittura presso i Corsi di Laurea in Scienze e Tecniche della Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, in Lettere e Filosofia (Gruppo Misto) ed in Ingegneria delle Telecomunicazioni dell’Università degli Studi di Palermo.

Stimato, illustre e sapienziale amico… ho il respiro corto, come si suol dire. Tu sei un Maestro, come ce ne sono pochi: ci vuole luminescenza per dare compimento ad un’opera siffatta, in sé una città santa, giungendo presso la quale l’osservatore deve togliersi i calzari e abbandonarsi al beneficio della contemplazione. Allora mi dispongo alla comprensione, tentando di diventarne membro, elemento; atto, questo, che non sarà mai sufficiente a renderti la necessaria e legittima gratitudine. Ti giunga tutta la mia ammirazione di uomo e studioso!
[…] io mi sento pienamente partecipe di tutto e scosso da un che di meraviglioso: molto di rado, mi accade d’incontrare qualcuno che sappia accogliere l’eredità classica in questo modo. Sono stanco, credimi, di tollerare tutti questi poetucoli che twittano di sé e del proprio talento, senza avere mai sfogliato un libro di prosodia e metrica (…taccio sui nomi perché sarebbe cortilisco e vano, ma c’intendiamo!).
Inzaccherano tronfi le pagine dei social, persuasi d’essere poeti unicamente per avere usato qualche parola elegante o qualche forma desueta…

Prof. Fabio Ciraciincaricato di Informatica per le discipline umanistiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università del Salento.

(da Twitter) @fabiociraci La #cultura ama la profondità ed è agguerrita come pòlemos: seguite un aedo del nuovo millennio @PoemaMythos (9 settembre 2012)

Nicola Palazzo (sensibile cultore di poesia)
In tutta l’opera rifluisce il corso di un’altissima civiltà poetica: vocaboli sempre lucidi e pregnanti di contenuta liricità; sempre attento com’è, il poeta, al numero e al ritmo, che è per lui quasi la sostanza della poesia e che egli trasferisce in un’eloquenza commossa e affannosa, fatta di rotture e di pause improvvise, di esclamazioni e di trepide, implicite interrogazioni. Ed in questo eloquio, non soltanto ogni vocabolo, ma le stesse pause e la musicalità iridescente dei versi acquistano una forza evocativa inconsueta. In conformità con l’indole della sua ispirazione, il poeta non tende a concretare le forme dei suoi fantasmi, piuttosto a rendere il brivido di commozione che le accompagna. E i suoi versi più belli sono quelli nei quali, quanto più indefinito ed evanescente si rivela il tessuto plastico e metaforico, tanto più è lunga l’eco ed ampia la risonanza sentimentale che nasce dalla musica stessa delle parole. Nei momenti migliori l’opera è poesia che coglie nella vita psicologica le vibrazioni più segrete e più tormentate, le sfumature più indistinte e più trepide, il misterioso trascolorare e rabbrividire degli stati d’animo; dappertutto si coglie quel sereno distacco del creatore di fronte alla materia della sua creazione, per cui egli può via via contemplare le mutevoli vicende del mondo, considerandole tutte con eguale attenzione e con lo stesso amore, e perciò senza particolari predilezioni, e così goderle tutte insieme nel ritmo alterno del loro svolgimento, trapassando dal patetico al sorriso, dal brutto al leggiadro, riconoscendo in questo alternarsi e variare di toni certamente la mistica armonia dell’universo.

Pier Luigi Conselvan,
ingegnere meccanico (1953-2011)

                                             Avendo la fortuna di essere amico dello scrittore Amato Maria Bernabei, permettetemi di parlarvi della sua ultima straordinaria opera “Mythos” (edizioni Marsilio). Viviamo anni in cui il progresso della scienza sposta sempre più in là l’orizzonte del sapere. Una siepe vicina ci precluderebbe lo sguardo e ci porterebbe ad immaginare l’infinito, mentre i limiti così lontani della nostra visione ci lasciano confusi e sgomenti. Ed essi si allontanano continuamente, così che il crescere della nostra conoscenza non infonde sicurezza, non placa la vertigine. Non sorprende dunque che un poeta come Amato cerchi il suo infinito in miti che sono espressione dell’origine dell’umanità, di un immaginario collettivo che ci ha lasciato un’eredità fatta di verità che sono tali, paradossalmente, proprio perché riferite ad eventi mai realizzatisi. Un argomento, il mito, senza tempo, che Amato ha abilmente scelto di trattare in forma classica, con uso sapiente di endecasillabi, così che la forma venga in soccorso della sostanza, rendendo possibile un’opera in cui musicalità e tensione poetica non mostrano cedimenti. Non sono un critico letterario e, lo ammetto, i miei ricordi di liceo, lontani, purtroppo, mi consentono di addentrarmi nell’opera con difficoltà. Direi che, quasi fosse una medicina, è da prendersi a piccole dosi. Giova leggere e rileggere. Il testo, ricco di note, peraltro indispensabili, richiede che se ne affrontino con pazienza le difficoltà, rimosse le quali, emergerà la sua elegante poesia. Vorrei qui congedarmi e, si sa, in questi casi, si cercano parole adatte, così mi tornano alla mente gli ultimi versi con cui Mythos si conclude, e non posso non pensare che ben difficilmente potrei esprimermi meglio. Così vi invito a leggere “L’illusione” ovvero i pochi versi in appendice a Mythos, con cui Amato Bernabei si commiata.
(http://xoomer.virgilio.it/pconselv/Manuale/informaz.htm)

   L’Illusione
Perché qualunque tempo è sempre stretto,
quando sugli anni spegneranno il sole,
quantunque scriva, non sarà più detto                                      3

che l’emozione eternamente vuole,
rinascendo nell’anima che cambia,
vivere sulle labbra per parole;                                                    6

che adesso sente, e come sente scambia,
sapendo che il medesimo sentire,
in forma nuova il lascito ricambia;                                           9 

ma ignora – o forse sceglie di mentire -,
che la lusinga sfiora senza mani,
e come dice non potrà più dire                                                  12

quando una notte non avrà domani.

Dal momento che il tempo per sua natura non è infinito, e dunque è sempre avaro, quando gli anni, per quanto numerosi, spegneranno il sole sulla terra, benché scriva per dilatare nel tempo la sopravvivenza, l’emozione non sarà più comunicata e non potrà rinnovarsi, mentre desidererebbe eternamente rinascere, sia pure in anime sempre diverse di uomini, attraverso le parole rilette e pronunciate dalle labbra (sulle labbra per parole). L’emozione che adesso sente, nel modo in cui sente comunica (scambia), nella consapevolezza che il comune sentire degli uomini ricambia l’eredità (il lascito) quando si presenta in forma originale, capace di re-suscitare il palpito di commozione e di essere apprezzata; l’emozione però sembra ignorare, o forse mente a se stessa, che si illude (sfiora senza mani non ha concreto fondamento, carezza senza le mani), perché arriverà un momento in cui non potrà essere più comunicata e rinnovata, un giorno senza domani, quando la terra diverrà sterile e probabilmente l’umanità sparirà con essa.


Serafino Adriani

Un capolavoro come non se ne vedevano da decenni.
Devi leggere il libro Mythos: poesia di livello altissimo, poema meraviglioso.
L’ultimo poema di grande livello letto prima di questo credo sia stata l’Eneide, molti anni fa… (2013)
Mythos è stato l’ultimo libro che ha letto mio padre, appassionandosi tantissimo. Anche lui mi confermò che da decenni non leggeva un libro così bello, e i classici li sapeva a memoria tutti (14/01/2015).
……

Rinaldo Adriani

Fu artista del “canto a braccio”, un’arte fiorita secoli or sono in ambiente bucolico, da tradizioni pastorali e contadine; autore di un canto certamente acceso da una sincera passione. Le sue ottave improvvisate possono essere lette nel volume del figlio Serafino Adriani, L’ottava rima di Rinaldo Adriani, gare poetiche e contrasti, Carbonia, Susil Edizioni, 2017, la cui prefazione è firmata da Amato Maria Bernabei. Di seguito tre ottave dedicate al poema Mythos.

Se Mythos vuole dir mitologia
e del mondo latino e il mondo greco
seme fecondo di bella poesia
di cui sonante ancor si sente l’eco
tu saggia Eràto e tu dolce Talìa
se or troppo disturbo non vi arreco
suggeritemi versi adatti al caso
per risalir le vette del Parnaso.

Risentire il trasporto ed il travaso
che sente il Vate nei suoi bei pensieri
mirar la volta dall’orto all’occaso
come han fatto il Petrarca e l’Alighieri
e poi verso di te i miei versi baso
di cui leggo e rileggo volentieri
e nei riflessi miei contemplativi
ne deduco giudizi positivi.

Nei caldi giorni di meriggi estivi
quando rivivo nell’Abruzzo nostro
tra i verdi colli e i profumati clivi
canto e descrivo quell’amato chiostro
balzano avanti i bei sensi istintivi
non molto adatti a pergamene e inchiostro
ma versi estemporanei ed improvvisi
tra gli olezzi di gigli e di narcisi.

Al Professor Amato Maria Bernabei con stima
Roma, 31 Gennaio 2013

* * * * *

Luciano Nanni
scrittore e critico letterario

.
.
Mythos è un’opera straordinaria per contenuto e forma (26/11/14), più la si legge e più appassiona (12/12/14)

Ci sono opere che esulano dalla ‘normalità’ per porsi come unicum in virtù della loro forma o dei loro contenuti. Questo poema epico-drammatico appartiene senz’altro a tale tipologia. Una valutazione che parta da un concetto esclusivamente diacronico, di vedere cioè in prospettiva solo storica un determinato prodotto artistico, a mio avviso sarebbe incompleta, poiché tutte le forme d’arte, pur caratterizzate dal colore dell’epoca in cui furono concepite, sfuggono a un rigida catalogazione temporale. In Mythos il linguaggio è fluido e di conseguenza ‘narrativo’ e i soggetti (i vari miti d’età ellenica) sono talmente penetrati nella cultura di ogni tempo da divenire perfino acronici.

Se si procede a una verifica tecnica è evidente che l’autore mostra una indiscussa perizia metrica: le migliaia di endecasillabi (un verso che sussiste ancora nella pratica moderna) evitano non di rado il sistema binario andando oltre le dodici classificazioni che ne fa il Sesini (cfr. L’endecasillabo: struttura e peculiarità). Ecco un esempio di ritmo dattilico: “dell’assassino che spegne la sete” (Adone ed Afrodite, v. 6) o con accenti ribattuti: “Aldebaràn, verso la lucentezza” (Il mito di Sìsifo, v. 11) — accenti di quarta e quinta. Da notare l’uso ripetuto della sinalefe, anche quattro in un verso: “formiche,^a chicco^a chicco,^al labbro^ignaro” (Il mito di Re Mida, v. 39) o “che^uccide quando^il mostro^il piombo^inghiotte” (Il mito di Bellerofonte, v. 9). A volte l’accento metrico destituisce quello grammaticale: “se la divinità^è così meschina!” (Zeus, v. 90); qui è viene assorbito dall’ictus in sesta sede. Ma la capacità tecnica fine a sé stessa non sarebbe sufficiente a ciò che deve considerarsi poesia: in Mythos la poeticità, espressa spontaneamente nell’endecasillabo, appare a ogni piè sospinto: “mutando il granchio in timido splendore” (Il mito di Èracle: le fatiche, v. 102); è sufficiente questo verso per capire che l’autore realizza non solo la musicalità del testo, ma l’eleganza dell’immagine, correlando in modo originale aggettivo e sostantivo. Peraltro l’elevata qualità semantica è arricchita da un’inventiva ‘polisemica’, come nel passo “Solca la nave e solca l’orditura: | per Filomèla il cielo o l’acqua piena | una grétola azzurra prefigura.” (Procne e Filomèla, vv. 143-145). In più l’opera è supportata da numerose note di estrema utilità per il lettore. Dunque Mythos si può definire un poema eccezionale, nel senso di riunire sotto un tutto coeso ma articolato l’idea di un mondo ideale che mantiene nel tempo il suo fascino: l’autore ce lo riporta con una scrittura raffinata e quella conoscenza che apre nuovi spazi all’immaginario collettivo.

                                                                                                                                         Luciano Nanni


Un’impresa provocatoria, in questi tempi di pseudopoesia e pseudocultura, quella di comporre un interminabile poema in terzine dantesche di argomento mitologico. La narrazione verte intorno all’educazione sentimentale ed esistenziale di due ragazzi, la quale avviene attraverso il mito continuamente rivisitato ed assurto, ancora una volta, a complesso e polisemico emblema. Un’operazione volutamente controcorrente, colta, ricchissima e di spudorata consapevolezza.
Adele (2 Luglio 2010)

_ _ _ _ _

Ho avuto modo di leggere su Internet Il Mito di Filemone e Bauci dal Suo Mithos e ne sono rimasto letteralmente affascinato. Non credevo più che in tempi di poesia macinata e corriva fosse ancora possibile poetare come Ella fa. Davvero complimenti, è splendido!

Giuseppe Leli

_ _ _ _ _

* * * * * * *

Omaggio di Amato Maria Bernabei ad Alessandro Quasimodo. Da sinistra Alessandro Masi, Segretario Generale della Società Dante Alighieri, Benedetta Rinaldi, conduttrice Rai TV, in piedi Amato Maria Bernabei, poeta, scrittore, saggista, Alessandro Quasimodo, figlio del Nobèl italiano Salvatore, regista, attore, poeta, Presidente della giuria del Premio, S. E. Tsovinar Hambardzumyan, ambasciatore d'Armenia in Italia, a sinistra del quale, non inquadrato, siede Osvaldo Bevilacqua, noto conduttore televisivo della Rai.

 

Critica, eventi, rassegna stampa,  Il Mito di Re Mida

Mythos, Marsilio Editori        Intervista all’autore di Mythos

Video Presentazione Padova

RICHIEDI MYTHOS IN FORMATO PDF
 TRAMITE MESSAGGIO

https://www.facebook.com/Amato-Maria-Bernabei-174842239215541/

I commenti sono chiusi.

*
To prove that you're not a bot, enter this code
Anti-Spam Image