Il Dante di Benigni: “…mi viene il voltastomaco” afferma Zeffirelli

“…e vede queste due che abbracciati vola e lui gli interessa queste due anime.. ”; “Mentre leggevano e ci fu il bascio nel libro, sciò che accadeva nel libro, Paolo gli cade il libro…” (Roberto Benigni, 29 Novembre 2007, Rai Uno): evidentemente è lecito il vilipendio della Lingua Italiana! Mai sentito nessuno, in televisione, parlare peggio.

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PARTE PRIMA: 29 Novembre 2007, Prima serata: milioni di famiglie sono davanti al televisore in attesa del “ritorno in tv della grande cultura”. Oggetto della trasmissione: il Canto V dell’Inferno; docente: il grande dantista Roberto Benigni. Milioni di bambini attendono l’evento: il saltimbanco li divertirà sicuramente…

                      Certamente saranno stati contenti di un passaggio dell’introduzione all’”esegesi dantesca”, particolarmente adatto a loro. Ascoltiamo: trivialità  (da O Dante o Benigni)

Forse a qualcuno è sfuggita la volgarità più grossolana, quella cioè che si prende gioco delle stesse persone offese: ho tolto le parti volgari. Tutto per il modico prezzo di 260 Euro al secondo (appena 15.600 Euro al minuto).

Mi chiedo come mai non siano stati presi provvedimenti severi nei confronti del comico toscano, dal momento che le leggi italiane sono esplicite a proposito della tutela dei minori anche in materia televisiva.  Le direttive europee nn. 89/552 e 97/36 sull’esercizio dell’attività televisiva stabiliscono per di più che “gli Stati membri sono tenuti a garantire che le trasmissioni delle emittenti televisive non contengano alcun programma che possa nuocere allo sviluppo mentale, fisico e morale dei minori”. Altro che il “togliere le parti volgari” dell’illustre signor Benigni! “Le prime vittime dell’appiattimento culturale e della omologazione imposta dal modello televisivo prevalente sono i minori poiché non dispongono ancora degli strumenti per una interpretazione critica del messaggio televisivo soprattutto in mancanza di una adeguata politica per un uso consapevole della televisione attraverso una fruizione familiare congiunta dello stesso mezzo televisivo” (Commissione parlamentare per l’infanzia).

“Per la violazione delle norme in materia di tutela dei minori, è stata approvata una sanzione di 25.000 euro per la messa in onda su Italia 1 del cartone animato ‘I Griffin’, caratterizzato dall’uso di espressioni volgari e di turpiloquio”. Sempre in materia di tutela dei minori – spiega ancora l’Autorità – è stata altresì diffidata la Rai per la diffusione di pubblicità con gli stessi personaggi dei cartoni animati della programmazione adiacente”. Benigni gode dunque d’impunità!
http://www.repubblica.it/2006/11/sezioni/economia/multa-mediaset/multa-mediaset/multa-mediaset.html

Passiamo a Dante.

Non è possibile in questa sede analizzare in modo approfondito tutte le gratuità e gli innumerevoli svarioni del Professor Benigni a proposito della Commedia, ma basteranno alcuni esempi significativi per dimostrare la sua incompetenza e l’inganno che si nasconde dietro la sua “benemerita” operazione.

Prima di tutto dobbiamo notare che il comico, adducendo come pretesto la trattazione del tema del V Canto (la lussuria), si abbandona sguaiatamente a ogni sorta di riferimento osceno e a digressioni gratuite che nulla hanno a che vedere con l’intenzione dantesca, come abbiamo cominciato a dimostrare. In secondo luogo va rilevato che la sua trattazione si svolge sempre in preda alla concitazione, alla confusione verbale e concettuale, alla conoscenza approssimativa dell’argomento trattato. Proviamo a leggere prima e ad  ascoltare poi, come Benigni “spiega” i motivi che portarono al matrimonio fra Gianciotto Malatesta e Francesca Da Polenta: I Malatesta da Rrimini e i Da Polenta da Rravenna, per vevitare la guerra decisero di far sposare la… figlia… di di lui, con il figlio di di quegli altri, ‘nsomma, no? E allora, eee, Francesca da Rimini, i Da Polenta da Rimini, che eee, ee, diciamo decise da da Ravenna, che poi divenne da Rimini, ecco, decise che doveva essere data isposa a uno de’ Malatesta. Ascoltiamo: Malatesta e DaPolenta. (Per avere un’idea delle baggianate raccontate da Benigni sull’episodio di Paolo e Francesca si consulti la pagina http://www.letteraturaalfemminile.it/francescadarimini.htm, dove risulta chiaro che la maggior parte del racconto del comico toscano – per chi l’abbia sentito e lo ricordi – raccoglie versioni romanzate e aggiunge enfasi spettacolari e contraffatte).

Passo di “docenza” davvero esemplare! Benigni non capisce più come mai Francesca Da Polenta sia chiamata Francesca da Rimini, se a Rimini regnavano i Malatesta… Nemmeno il leggio, al quale si accosta, lo aiuta. Dalla sua frettolosa preparazione di scolaretto nasce il caos: i Da Polenta da Ravenna li fa provenire da Rimini, Francesca Da Polenta, da Ravenna “poi divenne Da Rimini”… Il bello (o il brutto) è che non scherza, ma fa sul serio! Non parliamo dello stile… Divertiamoci allora (ma non tanto) ad esaminare la bruttezza della lingua italiana e i concetti sconclusionati del Professore: Coloro gli ignavi sono quelli i peggio di tutti, propio Dio non li guarderà mai più nella faccia, popio mai per l’eternità, sono coloro che… Dio gli ha dato il dono più grande, il libero arbitrio e noi non lo usiamo, perché è una legge scegliere, appartenere, seguiree, prendere delle responsabilità, sei vivo, ora. Ci son du maniere di perdersi, no: una è scegliere il male invece del bene, perché uno ne ha sùbito dei vantaggi immediati, ed è una cosa tremenda, e l’altra è non scegliere né l’uno né l’altro, una via più lunga, ma dalla quale non c’è ritorno, la peggio di tutti. E quindi quando noi in televisione a volte vediamo che abbiamo a volte indifferenza di fronte all’orrore, no, bisogna avere orrore dell’indifferenza, essere sempre presenti, capire proprio che dobbiamo scegliere (applausi), appartenere (applausi più intensi), sapere che siamo vivi in questo momento: ce lo fa proprio sentire chiaramente Dante, eh, lo sentiamo proprio distintissimamente. E poi, e poi sapere che quando si sceglie il male, quelli che sono i furbi – ora non voglio fare un discorso che il mondo è diviso un bene e un male (che sembra l’Apocalisse), son quelle cose che dice Bush, così che gli fa co… – però è vero che nel mondo ci sono persone per bene e persone per male, nel senso ci son persone che gli piace fare del male, perché ci guadagnano, ne hanno un vantaggio.  Coloro gli ignavi

Se Benigni avesse presentato a scuola un compitino così, che fine avrebbe fatto? …ma ci rassicurano le parole di un tal Lo Gatto in una pagina della Rete ora purtroppo non più reperibile (http://www.fondazioneitaliani.it/index2.php?option=com_content&do_pdf= 1&id=751): “La lingua italiana Benigni la conosce alla perfezione…”. Se lo dice lui! Chiunque abbia un minimo di preparazione, si rende conto delle gravi sgrammaticature da cui è affetto l’eloquio benignesco, ma c’è di più. Soffermiamoci a riflettere sulla parte iniziale del brano, sarà sufficiente. Per chi non avesse avuto la fortuna di studiare, proviamo a riscrivere in modo corretto le prime tre righe (non di più, per non perdere tempo inutilmente): Gli ignavi sono i peggiori fra tutti i peccatori e Dio non li guarderà mai più in faccia per tutta l’eternità (modo infantile di esprimersi). Sono quelli ai quali Dio ha dato il dono più grande, il libero arbitrio (Dio veramente il libero arbitrio dovrebbe averlo dato a tutti!), che noi non usiamo, perché scegliere, appartenere, seguire, prendersi delle responsabilità è una legge: sei vivo ora!

Dopo le correzioni, con la grammatica ci siamo: la logica continua purtroppo ad essere sgangherata. Dio avrebbe dato il libero arbitrio agli ignavi e noi non lo useremmo… Se lo ha dato a loro, come facciamo ad usarlo noi? Non lo useremmo perché scegliere è una legge: che discorso è? Come se dicessi che io non mi fermo con il semaforo rosso perché fermarsi è una legge…

Propongo ora qualche squarcio della inconcepibile veste di docente che Benigni si è dato a prezzi che il più grande dei Professori di ogni tempo non ha mai guadagnato in tutta la sua vita. Qualche squarcio, perché non c’è soluzione di continuità nella trasandatezza e nella incompetenza di questo esegeta! Non offendo, anche perché la “persona Benigni” potrebbe essere la migliore del mondo: solo rilevo e dimostro la sua qualità di docente.

Io venni in loco d’ogne luce muto, muto di luce, per descrivere il buio, disce che la lusce non parlaa: dà un sentimento che non può avere. Sentite la poesia come… qua… la poesia è quel luogo dove quando dico io eee un fiume non è solo un fiume, rimanda altre cose, fa andare avanti il cervello, sono propo estensioni della nostra fantasia…”. (io venni in loco)

Lasciamo perdere il modo di esprimersi, Se avesse semplicemente detto che Dante, precorrendo i modi del linguaggio moderno, associa due sfere sensoriali, vista e udito (una sinestesia, come là dove ‘l sol tace, Inf. I, 60), e ci immerge nell’oscurità angosciante del silenzio di Dio (anche perché se davvero non ci fosse un barlume di luce, che cosa mai avrebbe potuto vedere e raccontarci il Poeta? Del resto Dante stesso avverte: com’io discerno per lo fioco lume, la luce reale e la ragione indebolite; Inf., III, 75), avrebbe parlato meno e avrebbe detto di più, rimanendo aderente al testo. Ditemi voi, infine, se “la luce che non parla” (la luce muta, il buio), può essere un’attribuzione di sentimento!

“Venite a noi parlar, se altri nol niega! (sarebbe s’altri nol niega; n.d.a.) ‘Se altri nol niega’ vuol dire se Dio vuole, ma all’Inferno Dio non si può nnominare. La parola Dio non uscirebbe dalla bocca: è un’invenzione dantesca bellissima, no? Scioè la Perfezione, il Bene Assoluto nel Regno del male sscardì, ci sarebbe un terremoto, quindi uno vuol dire Dio all’Inferno, non gli viene… isce ddi pf pfe, non gli viene niente!” (venite a noi parlar).

                                                                   Affermazione sicuramente falsa. A onor del vero nel sito http://www.gliscritti.it/approf/2007/saggi/limbo270707.htm si legge: «Il dramma dell’Inferno dantesco – e del suo limbo – è precisamente questo, che non si può pronunciare il nome di Dio, che non si può avere comunione con Lui. Si sopravvive, ma senza di Lui! Si può dire “un possente”, ma non si può dire ‘Gesù Cristo’». Tuttavia, a parte tutte le volte che  Virgilio nomina Dio, almeno in due casi questa presunta regola risulta clamorosamente trasgredita: Colui fesse in grembo a Dio / lo cor che ‘n su Tamisi ancor si cola (parla il centauro Nesso: Inf., XII, 119-120); le mani alzò con amendue le fiche, / gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!» (parla Vanni Fucci, ladro: Inf., XXV, 2-3), il quale non solo nomina Dio, ma gli si rivolge in maniera triviale. Prendiamo in considerazione, infine, i seguenti due versi: Bestemmiavano Dio e lor parenti (Inf., III, 103);  bestemmian quivi la virtù divina (Inf., V, 36): ci risulta piuttosto difficile immaginare che i dannati possano bestemmiare Dio senza pronunciare il suo nome! Quindi l’invenzione dantesca bellissima riferita da Benigni, va a farsi benedire.

«Quando siamo presi dalle passioni, c’è come un peso: Sant’Agostino disce: “Mio amore, mio pesoo! Da tte sono portato, dovunque sono portato”» (mio amore mio peso). Fraintendimento grossolano, indecente conseguenza di una preparazione spicciola e sfrontata! Sant’Agostino non si riferisce assolutamente alla passione amorosa, oggetto della disamina del Professor Benigni, né tantomeno dice di avvertirne il peso angosciante! Egli afferma proprio tutt’altro, perché parla di amor erga Deum: “Dio mio, restituiscimi te stesso. Io ti amo. Se così è poco, fammi amare più forte” (Confessioni, XIII, 8,9) e spiega che: “Ogni corpo a motivo del suo peso tende al luogo che gli è proprio. Un peso non trascina soltanto al basso, ma al luogo che gli è proprio. Il fuoco tende verso l’alto, la pietra verso il basso, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. L’olio versato dentro l’acqua s’innalza sopra l’acqua, l’acqua versata sopra l’olio s’immerge sotto l’olio, spinti entrambi dal loro peso a cercare il loro luogo. Fuori dell’ordine regna l’inquietudine, nell’ordine la quiete. Il mio peso è il mio amore; esso mi porta dovunque mi porto”, quindi “vado”, non sono portato (Sant’Agostino, Confessioni, XIII, 9,10). Chi ha letto attentamente ha capito che l’interpretazione di Benigni è ridicola e crassa.

Siede la terra dove nata fui, è qui che si capisce ch’è una donna: na-taa, è una donna, su la marina dove ‘l Po discende, …ma pensate che nne ‘n tutto il mondo leggono questo meraviglioso poema e doe devono andà a vedè nelle cartine cos’è il Po! E noi lo sappiamo, lo vediamo tutti i jorni: è un gran privilejo, è ‘na bellezz!” (siede la terra).

“Ma pensate”quali puerilità! Dante si legge per avere la soddisfazione di sapere che chi non è Italiano deve cercare il Po sulla cartina, mentre noi abbiamo il privilegio di avercelo qui in Italia? “È ‘na bellezz”! A questo punto davvero non vale la pena perdere tempo con le migliaia di versi dell’Alighieri!

“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, amore, che al cuore ingentilito vvunn, ratto s’attacca subito… Quando il cuore è educato all’amore, perché abbiamo bisogno di essere educati. Come si disce non si nasce imparati: C’insegnano a gguidà lle macchine, a cuscinare, a scrivere, a lleggere, e non ci dicono una parola sulla, sulle nostre emozioni, che son le cose che faranno la nostra vi-taa, nessuno che ci dica una paroolaa! Ma sci volete insegnare che cos’è? Una parola, e bbisogna che cce la dicano prest! Se non si educan lle nostra emotività, le nostre profonditàa, ogni ragazzo fa delle cose spaventose… va, ci può essere, la coscienza può essere educata a ffare degli orrori, se uno persevera” (amor, ch’al cor gentil).

Persevera nel fare cosa? Riuscirà mai quest’uomo a condurre delle considerazioni chiare, articolate, coerenti? O si esibirà sempre nella sua sconclusionata diarrea verbale? Qualcuno mi spiega se è ammesso l’uso pretestuoso di Dante per sproloquiare in questo modo? Ma avrà mai studiato lo Stilnovismo, Benigni? Che cosa c’entra l’espressione dantesca cor gentil con le sue digressioni fuori tema, visto che sembrano alludere più alla carenza di “educazione sessuale” che ad altro? Ha mai appreso, il comico, che il concetto di gentilezza e di nobiltà, cardini della dottrina dell’amor cortese, ha tutt’altro senso rispetto a quello che lui va “predicando”? Nel Guinizzelli la “nobiltà” sembra essere addirittura una dote naturale innata (né fe’ amor anti che gentil core, / né gentil core anti ch’amor, natura): amore e cuore gentile come sole e luce, come fuoco e calore. [*] Ha mai sentito parlare del Cappellano? “In Andrea si trova innanzitutto la prima teorizzazione e perentoria affermazione di un principio elementare, fondamento del trattato e di tutta la successiva teorica in tema d’amore: il principio della indissolubile connessione tra “amore” e “nobiltà” «morum probitas», la definisce Andrea, intendendo quest’ultima non come privilegio di nascita, ma come qualità propria dell’uomo (e della donna)”. [Cfr., oltre all’introduzione di S. Battaglia al Trattato d’amore (poi nel vol. La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli, Liguori, 1965, pp. 391-416), Avalle, Problemi di critica testuale, 1961, par­tic. pp. 21 sgg.]. È quella che Contini definisce «la soluzione detta borghese, e insomma scolastica […] del problema della nobiltà, […] in antitesi alla soluzione aristocratica, cioè ereditario-patrimoniale, assegnata a Federico II» (G. Contini, Dante come personaggio poeta della Commedia, in Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, p. 345).

Una delle dimostrazioni più lampanti dell’ignoranza di Benigni su Dante, è la sua performance relativa al verso Amor, ch’a nullo amato amar perdona.

“Questo è un verso, naturalmente uno si vergogna pure a spiegarlo, perché è talmé (viene interrotto dagli applausi)… va  bbe’… e gh gh… fate bene applaudire… Amor, ch’a nullo amato amar perdona, eee, lo conoscono anche ii sassi della Corea, ‘nsomma, è uno de… dei versi più famosi di tutto il mondo, chee tra ll’altro anche se non si capisce cosa vuol dire, isce Amor, ch’a nullo amato amar perdona, non mi dire niente, va bbene così Ddante, uno si spoglia: fammi quello che ti pare, non so come ringraziarti, perché è un verso di tale straordinarietà (applausi; non poteva mancare questo trito ritornello “educativo”. Qualcuno non avrebbe voluto nelle Scuole il Dante di Benigni? [*]) … se vvogliamo però entrà ddentro… però…. (gli applausi continuano) è tal… ora, questo è detto, anche questo in senso, eee, eee, naturale, umano e mistico, però il concetto è una cosa… Non si può llegare davvero un’analisi a un’estasi, quest’è un’estasi…” (amor, ch’a nullo amato).

Qui magari Benigni si riferisce a un’estasi estetica, ma poiché egli contemporaneamente tesse le lodi dell’amore fra Paolo e Francesca, va rilevato che Benedetto XVI, nella Lettera Enciclica sull’amore cristiano DEUS CARITAS EST pare pensarla in modo diverso a proposito dell’estasi da eros (e ricordiamo che nel V Canto Dante punisce i lussuriosi): …l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, «estasi» verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende… Sì, l’eros vuole sollevarci «in estasi» verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni… Sì, amore è «estasi», ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Lc 17, 33), dice Gesù – una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25).

“Però se lo vogliamo dire, Amor, ch’a nullo amato a, isce amore, che a nessuno ch’è amatoo, permette il non riamare. È una legge: è scritto nel firmamentoo, eeh, questa è una cosa teolojica, anche deii altissimo senso dell’epoca, è scritto nel firmamento, che se ssi ama, qualcuno o qualcosa, ecco, quell’amore sci verrà restituito in egual misura: è una leg-ge! Come la legge di gravitazione universale, la legge di gravità, una legge è una buona notizia per tutti noi, cioè ciò che amiamo disciamo è la nostra vera eredità, ciò che amiamo non ci verrà strappato, non ci verrà strappato mai!” (però se lo vogliamo dire).

Beato te che la racconti! Specialmente nel contesto in cui Dante enuncia questa sua massima. Penso allo “sciocco” Ariosto che scrive: Ingiustissimo Amor, perché sì raro / corrispondenti fai nostri desiri? (Orlando Furioso, II, 1) A Benigni tutte le donne devono aver detto di sì, così bello e così intelligente! Chi può resistergli? Per il mondo però tanti piangono perché non sono corrisposti, perché sono abbandonati, traditi (d’infedeltà si tratta nel V dell’Inferno); ma se anche parlassimo di amore “assoluto”, del più alto possibile, quello di Cristo (che guarda caso non ha a che fare col sesso…), come potremmo sostenere quello che con tanta convinzione il Professore va predicando? Cristo amava i suoi carnefici, e i suoi carnefici l’hanno… ricambiato, perché come dice Benigni: Amor ch’a nullo amato amar perdona “è una leg-gee!”. In realtà io non ho mai creduto che Dante abbia voluto sancire un’assurdità del genere: Dante era un genio vero, non presunto, non come a torto troppe mediocrità credono di essere o vengono ritenute! E così ho cercato di dimostrare che il significato del verso in questione è proprio diverso. Per il momento non ritengo, tuttavia, di rendere pubblica la relativa esegesi. Continuiamo con il “fuori tema” e con le interpretazioni gratuite di Benigni.

“E poi, pe’ spiegare ‘sto verso, per entrare dentro alla testa dell’autore ancora… sentitee e c’è nnel Vangelo una parabola che mi piasce tanto, una delle mie preferite nee, nel Vangeloo di Jovanni, la eeeh, che spiega molto bene questo verso, dura pochissimo, ma, mi piasce raccontarvela che mi piasce tanto, la, la la storia della donna che perdeva sangue, no? In cui sc’è Gesù Ccristo che sta andando co’ San Pietro a trovare un amico e pe’ strada tutti i malati ri, lo riconoscono e vogliono il miracolo, senzaa credere troppo, eh, però sanno che guarisce: “Eeeh, io qua, io sci ho llà, io sci ho llà”, tutti a urlare: “Jesù, fammi questo, fammi quell’altro”, Jesù Ccristo… E llì in mezzo sc’è una donna, da ssola, che perde sangue, quindi propo, una donna! Che perde sangue, non ha più enerjie, però llei crede, profondamente, chee… disciamo, ecco, che, non siamo gli unisci padroni di questo mondo, così die, ri, ripeto, si può andare, disciamo che, ehm, l’etica, la maniera di vivere, disciamo, sensa fondamento relijioso, voglio chiarire questo, non è ch’è mmeno importante o mmeno profonda dell’etica con fondamento relijioso, sono tutt’e ddue straordinarie, la sensibilità al dolore è lo stessa, l’amoree e la, pe ppelle sofferenze dell’umanitàa, è uguale, quest’è un principio dal quale non si deve scappare. Adesso noi siamo dentro a un’etica cristiana memorabile e sce la dobbiamo godere fino ‘n fondo” (pe’ spiegare ‘sto verso).

Il sermone sconclusionato di don Roberto non finisce mai… È più comprensibile la pagina più difficile di Kant che questa minzione di pensieri lontani anni luce dal verso dantesco, che dovrebbero commentare. Meno male che Benigni aveva promesso di raccontare una breve “parabola”… dubitiamo che conosca bene il significato della parola, che indica un racconto allegorico per ammaestramento morale, mentre lui narra del miracolo dell’emorroissa, e per di più va citando sulle piazze l’unico evangelista che non lo ha raccontato: “Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Marco, 5, 25-34)” [cfr. anche i sinottici di Luca (8, 43-48) e Matteo (9, 20-22)]. Naturalmente chi si fida del “colto” Professore, o chi lo sostiene, cade nelle sue gaffe, esaltandone magari le qualità (cfr. Varese, Pala Whirlpool: Varese – Benigni racconta Dante ai tempi della Lega nord | Varese Laghi | Varese News, dove la correzione è stata apportata in seguito alla mia segnalazione e magari permetterà a don Roberto di evitare in futuro l’errore).

“Ecco, allora questa donna, che credeva pro-fon-da-men-tee in questa persona, propio ne ininin, che mi mi, che che i fatti del mondo non so’ lla fine della questione, vede questa persona, ha vvisto negli occhi di questa persona l’eternità. Ci crede, e sente che, nnon se parlerà con lui o andrà a fare come tutti gli altri: “Ueeh, io qua, io là”, ma sse ssolo riuscirà a toccare un pezzetto del suo mantello, il lembo del mantello di Jesù Ccristo, se riuscirà a toccare, perché lei striscia, come un verme, che non ha più, è come un verme, striscia ‘sta donna…” (come un verme).

Paragone con cui si descrivono persone moralmente spregevoli, non gli sventurati. Bisogna poi osservare che nessuno dei vangeli sinottici riferisce questo miserevole strisciare, anzi Luca racconta: “Si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi…”: come avrebbe potuto la donna gettarsi ai piedi di Gesù se fosse arrivata strisciando “come un verme”? Sono le fiabe ciarlatane del guitto.

“…deve fare un percorso perché tutti noi un percorso lo dobbiamo fare, se riuscirà a fare quei scinquanta metri che per lei sono chilometri, e se riuscirà a toccare un pezzo del mantello di quella persona, che non sa cchi sia, ma cci crede (dunque è una questione di fede, non di amore…; n.d.a.) profondamente, sente che… non sarà guarita, ma ssarà salvata!” (deve fare un percorso).

E pensare che gli esegeti ne fanno una questione di emarginazione sociale, di latria, di superstizione e di altro ancora. “Salvata”…, afferma don Roberto: sì, ma “dall’angoscia di credere d’aver compiuto un’azione illegale, ovvero dal timore di doverne subire le conseguenze” (E. Galavotti). E quanto a questo, se la fede fosse stata davvero forte, la donna non avrebbe né temuto, né tremato (forse…).

http://www.homolaicus.com/nt/vangeli/guarigioni/emorroissa/emorroissa.htm.

Del resto non è discutibile il fatto che Gesù la congeda dicendole: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” (Luca, 8, 48).

“Si mette in cammino, tra i sassi, la polvere, le botte, i calci di tutti, e alla fine riesce a prendere il lembo del mantello di Jesù Ccristo: ooh, sentite la storia de la bellezza del Vangelo. Tante volte si disce, si leggono libri di sapienza e si disce “Tutto qui?!”, ma cquando si legge il Vangelo si va ‘n manicomio! Ci sono delle storie d’una bellezz! Si rimane ester(r)efatti… ma cchi era questo?! Qua ‘n intelijenza, ‘na bellezza così! Quando gli tocca il lembo del mantello a Jèsù Ccristo, Cristo si volta verso San Pietro e gli disce: “Pietro, qualcuno mi ha ttoccato”. Guarda… una sceneggiatura. Ma cchi le scrive? E Pietro disce: “Eeh, Maestro, tutti  la stanno toccando, da ore la stanno malmenando” (non ci pare che gli evangelisti parlino di maltrattamenti a Cristo; n.d.a.). E Jesù disce a Pietro: “No, Pietro, uno solo mi ha ttoccato”. Si volta, e vede la donna con in mano il mantello che allo stremo delle forse cade a terra!” (si mette in cammino).

Ma non strisciava? Don Roberto deve aver sognato tutto. “Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita” (Luca, 8, 47); “E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità” (Marco, 5, 33).

“In quel momento in cui si sono guardati, Gesù disce a Pietro: “Una forsa è uscita da mme”. E quella donna venne salvata pell’eternità. Cioè Ggesù nemmeno l’ha vvista: automatica-mente, quell’amore che quella donna aveva profuso, perché credeva profondamente, ha ffatto sì che la stessa forsa e lo stesso amore uscisse da Gesù Ccristo e venne salvata pell’eternità. “Una forsa è uscita da mme” di eguale misuraa: Amor ch’a nullo amato amar perdona” (in quel momento).

Ecco la chiara forzatura: la donna, perché credeva, aveva profuso amore. Noi ribadiamo che qui non si tratta di amore, tanto meno di “eguale misura”, come aggiunge il comico, ma di fede, di speranza, se mai, che la fede possa trovare riscontro. E se di amore proprio si trattasse, non illustrerebbe di certo il sentimento colpevole di Paolo e Francesca! Quindi la citazione di Benigni è proprio inadeguata, infelice. Come sono scriteriate tutte le successive osservazioni, premiate in maniera entusiastica dall’applauso. Chi si è accorto delle incoerenze?

“E noi non solo siamo quella donna, quando profondamente crediamo, profondamente in qualcosa, ma rracconta, questa parabola…”

Renitente! È proprio convinto che sia una parabola…

“…che siamo anche il Cristo. Ognuno di noi, quando nasce, è come Ggesù Ccristo: tutti lo vogliono siamo una divinità! I bambini son puri, divinità. E tutti sci vengono llì a ddire: “Mirà… eeeh, io son quello, son io son io!”: ma uno solo sci tocca. Uno solo sarà la donna della nostra vita, uno solo sarà l’amico, uno solo sarà il cammino dda percorrere” (e noi non solo).

La farneticazione ormai è una piena! Riconosco di essere “deficiente”: non capisco dove stia andando l’esegesi dantesca! e che logica ci sia dietro i discorsi di questo predicatore! Chi legge dovrà pur ammettere che, usando il proprio cervello, e usandolo bene, riesce nella vita ad ottenere a stento un onesto guadagno, mentre qualche furbo, sragionando, riempie le tasche di milioni di Euro! Questo è profondamente immorale. Altro che Cristi e Madonne!

“Siamo entrambe le persone. È una storia d’una grandezza memorabile. E ci disce che, questo verso, che non esiste amore sprecato. Disce: voi amate, che quell’amore non finirà nnei rifiuti del tempo, quell’amore cci sarà per sempre! Vi sarà tornato indietro in egual misura. Un verso memorabile, eh! Amor che…  (il pubblico applaude, convinto!) che grazie de la…. è sempre un applauso che mando a Dante, eh! Allora disce… e quindi… grazie ancora, e quindi  Francesca disce amor che a n, per questa legge, Amor ch’a nullo amato amar perdona…” (siamo entrambe le persone).

Dunque: o Dante aveva completamente perso il cervello e scriveva il contrario di quello che pensava, oppure ho perso il cervello io, che non riesco proprio a comprendere, o ha smarrito il senno chi parla. Un amore così grande, così puro, così santo, perché è stato punito? Abbiamo sempre tutti creduto che Dante volesse ammaestrarci attraverso il suo racconto: non amate così, perché sarete eternamente puniti. Invece no! Amate proprio così: “quell’amore non finirà nnei rifiuti del tempo, quell’amore cci sarà per sempre! Vi sarà tornato indietro in egual misura”. È il momento di farlo sapere e capire a tutti i lussuriosi del mondo, perlomeno agli adulteri, ma anche a quelli che dall’adulterio si sono astenuti per non peccare: “Dateci sotto, abbiamo frainteso la morale cristiana: Don Roberto ci assolve tutti!”. Non ditemi che ho frainteso io: Benigni sta spiegando il verso amor ch’a nullo amato amar perdona. Io ci ho davvero provato a spiegarlo (nel saggio O Dante O Benigni), ma non ho la competenza e la credibilità di Roberto Benigni. Il pubblico, che ha capito tutto, applaude a lungo.

Non ho riportato che qualche passo, ma l’esegesi di Benigni è tutta così!
Concludo rinviando alla scheda sul XXXIII Canto del Paradiso in Dario Fo, Benigni, Broccoli, ovvero la divulgazione dell’ignoranza,  in cui, a detta di Sua Eminenza il Cardinal Bertone, Benigni dà dimostrazione di alta sapienza teologica.

Mi fermo qui… E pensare che la Rai ha pagato più di due canoni al secondo per questa grande proposta culturale, che a Benigni sono state conferite dieci lauree Honoris causa per la sua dottrina e per la sua opera ‘meritoria’, che penne illustri hanno sprecato inchiostro per tesserne elogi, che egli ha ottenuto addirittura la candidatura al Nobel per la Letteratura nel 2007!… Quando avrebbe dovuto magari essere perseguito per pubbliche oscenità, per vilipendio della lingua italiana e del patrimonio letterario, e forse anche per “imbroglio culturale” ai danni degli sprovveduti e a vantaggio dei furbi… I furbi come lui, che sfruttando un sistema indecoroso fondato sul mercato (si dia al termine non la nobile accezione “economica”, ma quella degradata delle bancarelle da paccottiglia) e sulla moneta più vilmente raccattata, vanno spacciando arrugginito metallo per oro.

Dovrebbe esserci un istituto per proteggere i classici dai mascalzoni che se ne impossessano!(Franco Zeffirelli, a proposito di Roberto Benigni)

La scheda è in gran parte tratta dal saggio inedito O Dante O Benigni, che, prima di essere pubblicato dall’Editore Romano Arduino Sacco, per tre anni ha incontrato insormontabili ostacoli di varia natura: paura dei piccoli editori, richieste esose degli editori sciacalli, omertà o atteggiamento di superiorità dei grandi editori, rifiuti di “bandiera”: perché, se dovesse sfuggire, anche la cultura è condizionata dalla faziosità di chi la propone. Nella fattispecie, responsabile non ultimo è il protagonista di questa mia denuncia, che ha avuto la pessima idea di sovrapporre la Divina Commedia alla satira politica di parte (meglio forse viceversa), generando in moltissimi la convinzione che chi contrasta la sua opera di “divulgatore di Dante” è anche politicamente schierato.

Io non sto né a sinistra, né a destra, ma con la conoscenza.

Amato Maria Bernabei

Sul Saggio “O Dante o Benigni” consulta:
http://www.odanteobenigni.it/?page_id=2

Roma: Intervista all’autore del saggio O Dante o Benigni

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