Saggio semiserio di poesia moderna

 

Il recupero del passo della tradizione si fonde mirabilmente con le istanze contemporanee di un nuovo linguaggio, rivoluzionario nelle combinazioni e nelle semantiche, in giochi scintillanti, zampillanti che mutano la forma in sostanza, laddove già la sostanza è sostanza, duplicandone lo spessore, tanto che la sostanza-sostanza e la forma-sostanza danno alla luce un evidente universo de-formato…

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Soltanto prima del fare, il pre-fare.
E dunque se il fare è non fare, che fare? Non resta che non prefare… o forse PREnonFARE.
Allora prenonfaccio quello che sto per fare (la confusione eventualmente generata è perfettamente congrua con il soggetto in questione).
Intendo infatti non fare poesia, facendo… non poesia, che poi è quella che trionfa, magari con l’etichetta di NEOpoesia, ovvero – mi pare – di poesia affetta da alterazioni neoplasiche, o “nuove formazioni”, degenerazioni cancerose.
Il desiderio dell’innovazione ad ogni costo, ammesso e non concesso che possa essere “innovata” una natura (come innovereste l’uomo?), porta inevitabilmente al tumor, alla degenerazione.

La poesia è poesia, oppure non lo è. Se lo è, dovrà pur sempre rispondere a precise peculiarità.
Il tentativo di accogliere contorcimenti lessicali e semantici, abbinamenti cervellotici, associazioni visionarie, errori addirittura, per creare una “poesia nuova”, non può essere che il frutto di un vasto deserto del poetare. Il rifiuto della tecnica non può che essere il rifugio della pigrizia o dell’incapacità. La vera innovazione è la creazione dentro la norma. Il più innovatore degli architetti, non potrà mai ignorare la forza di gravità.

Anche la poesia, il genere poesia, ruota intorno ad un centro di attrazione in cui si stagliano purezza di lingua e scansione metrica, oltre cui diverso è il centro e diverso si fa il genere. Lo sperimentalismo di certe “penne” è più pelle d’oca che scrittura, più crittografia che pensiero che si svela, più gratuito gioco verbale, non sempre di buon gusto, che costrutto artistico. Artifici tutti che, per quanto talvolta sottendano contenuti interessanti, li sviliscono, frustrandoli. 
Per intenderci: da quale stato alterato di coscienza discendono versi del genere?


E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
piu che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora – per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nano biscroma
cose e cosine…
(da La Beltà, Sì ancora la neve, di Andrea Zanzotto)

E quale sintonia porta all’esegesi acquiescente che osserva: “… a differenza dei poeti della neoavanguardia che della mimesi del caos del mondo moderno fanno oggetto pressoché unico della propria poesia, Zanzotto si impegna nella ricerca di un linguaggio autentico, è mosso da una forte tensione dal non significato al significato, dal caos all’ordine, dalla inconoscibilità del mondo alla conoscibilità, anche se deve registrare più scacchi che positive conquiste. Ma quel che vale è proprio questa tensione, questo principio di resistenza alla disgregazione e all’ottenebramento che sembra tutto involgere e coinvolgere. La poesia ha allora una funzione del tutto particolare di investigazione del caos, del labirinto e di ricerca dei possibili barlumi di significato che consentano l’auspicata inversione di tendenza” (Luigi De Bellis).

Se la “poesia” che investiga il caos scivola nel caos, quale mai conoscenza potrà acquisire? In realtà mi sembra che i versi citati siano tutto, meno che poesia. 

E se poesia si vuole che ciò sia,
allora tentiamo queste vette attraverso idonei sommovimenti sismici.

SAGGIO SEMISERIO DI POESIA MODERNA
componimenti neo-poetici tra il serio ed il faceto
di Amato Maria Bernabei

 Fonte: http://dettaglitv.com/?p=3325

Vedi anche Zanzotto: la poetica dell’errore

 

 

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