Benigni e la Costituzione: tanto fumo e niente arrosto

Ormai, ogni volta che Benigni starnutisce, i massmedia fermentano di commenti che celebrano, magnificano il grande evento e il grande protagonista: un gigante dello “starnuto”, un inarrivabile esponente del “sapere… inspirare ed espirare” fragorosamente, liberando distillati di pregiatissima saliva, da cui la folla ama essere inondata… Nessuno che apra l’ombrello per evitare pericolosi bacilli! L’epidemia è inevitabile.


Una cosa come questa non deve essere commentata, ma solo applaudita
(Vincenzo Mollica http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2012/12/20/La-Costituzione-e-i-10-comandamenti/348761/)

Nulla può essere sottoposto a giudizio se prima non sia stato conosciuto.
Sicché non potevo appoggiarmi a preconcetti né fidarmi del parere altrui per criticare (contro il parere di un Mollica sempre più… crosta), l’ennesima serata “culturale” del poco dotto Benigni. In diretta non ho proprio avuto voglia di assistere allo spettacolo, che poco spettacolare mi attendevo, visti i precedenti, e così ho dovuto patire la registrazione, inghiottendola, però, a più riprese.
Ugualmente indigesta.

Era stato enfaticamente annunciato che la strapagata performance (250 Euro al secondo, 115 anni di mensilità per due ore di prestazione) si sarebbe articolata in tre parti: la prima dedicata alla satira politica, la seconda alla Storia della Costituzione, la terza all’esegesi (nientemeno!) dei primi 12 “princìpi fondamentali”.
Bene: si presuppone che la comicità vera strappi il riso e diverta. Purtroppo nel corso della prima parte sono rimasto con le gote distese o, al massimo,  atteggiate a una smorfia di fastidio per tutto il tempo in cui Benigni si è sforzato di proporre qualche spiritosaggine nuova per un tema ritrito, inzeppato di battute ormai viete e monotone. Basta con il Cavaliere! Basta con l’allusione al suo “padreternismo”! Basta con le variazioni, questa volta trasferite in una “dimensione medievale” (idea poco originale, “copiata” in modo evidente da Dario Fo: http://www.youtube.com/watch?v=EOrVavVzb64), che non mutano linee di sviluppo e ripercorrono argomenti e argomentazioni decrepiti e appassiti: corruzione, conviti, sesso, che peraltro non sono distintivi di un solo protagonista politico e di un solo schieramento. Basta con la gratuita (anzi, spudoratamente compensata dalla Rai a suon di milioni in tempi di grave crisi) pubblicità occulta, ma non troppo, ad un personaggio che, io credo, si è ancor più radicato nella simpatia di una larga schiera di ammiratori grazie proprio al contributo del comico toscano: chi ha mai reclamizzato il “Dio Silvio” più di Roberto Benigni? Benigni che pubblicamente condanna in modo fiero “l’avversario” e privatamente intrattiene con lui rapporti di affari (che altro sarebbero la distribuzione che la Medusa Film, del Gruppo Mediaset, accorda a Benigni, e la pubblicazione di ben quattro “libri” del comico toscano da parte della Casa Editrice Einaudi? la stessa che ha radiato il Premio Nobel Saramago perché ostile a Silvio? Tanto ostile Benigni non deve essere considerato dal Cavaliere… che ha sempre fatto con lui “buon viso a cattivo gioco”…).
Basta.
Anche perché, se si vuole veramente dare una svolta e vedere sparire certe figure dallo scenario politico nazionale e internazionale, bisogna imparare la strategia del silenzio: chi veramente è considerato poco, va ignorato.
“Povero Presidente, ce l’hanno tutti con lui… Io non l’ho mai votato, ma questa volta gli do il voto” dichiarò una mattina una signora anziana nel corso di una trasmissione su Radio 1.

Dunque una prima parte fiacca e ripetitiva, e “vagamente” condotta in chiave elettorale, più a favore dell’”avversario” che della parte “amica”… Va riconosciuta la rinuncia alla solita trivialità indecente in prima serata: risibili, tuttavia, le scuse porte al pubblico prima di pronunciare la parola “maiali”, soprattutto al pensiero di ciò che l’attore si è permesso, impunito, in altre circostanze; scuse che non hanno comunque impedito il ricorso a due “vaffanculo” del costo di mille Euro (due secondi l’uno…) o al “medio sempre alzato” dei “Barbari del Nord” (1500 Euro…), con cui Benigni ha voluto ricordarci chi è.
Valutando in definitiva il “primo terzo” del programma non comprendo davvero più chi continua a presentare questo attore, dall’immancabile fazzoletto “asciugafatica”, come il più grande comico italiano.

“Adesso noi passiamo a UNO delle cose più straordinarie del mondo: la Costituzione Italiana”… (ascolta)
La seconda parte doveva sintetizzare la “Storia della Costituzione”. Senza pretendere che ci si soffermasse sui Greci e sul Diritto Romano, sarebbe stato tuttavia opportuno precisare la concezione che la polis prima, lo Stato romano poi, avevano avuto dei diritti del cittadino di fronte allo Stato; [1] mi aspettavo che si prendessero in considerazione le radici cristiane della scoperta e dell’affermazione della dignità dell’uomo in quanto tale, dei diritti insopprimibili della coscienza individuale, della persona umana.
Prevedevo perlomeno un excursus attraverso le conquiste che dall’Illuminismo avrebbero portato alla stesura delle più evolute carte costituzionali passando per la Rivoluzione degli Stati Uniti e la Rivoluzione Francese, e quindi per la Convenzione americana presieduta da Washington e per la Dichiarazione dei Diritti; che si tenesse conto delle prime “aperture” delle Monarchie illuminate, del Codice Napoleone, che aveva espresso in norme chiare e precise i principi della libertà personale di tutti i cittadini e della loro eguaglianza di fronte alla legge; [2] della Rivoluzione industriale e delle rivendicazioni della classe operaia, delle rivoluzioni del ’48, delle concessioni di Statuti da parte dei vari sovrani… Nella fattispecie sarebbero stati opportuni, quanto meno, riferimenti alla Monarchia parlamentare italiana, alla figura del “principe costituzionale”; la citazione dello Statuto albertino, per quanto “carta ottriata”, un collegamento con uomini politici come Depretis, Cairoli, Giolitti…

Niente di tutto questo. Invece una banalissima sintesi degli avvenimenti relativi alla I Guerra Mondiale, “guerra stupida e cretina  dove per un pezzi di terra ‘No è mio, l’ho visto prima io!’ ci siamo dilaniati” (“per un pezzi di terra”…  riporto testualmente le parole del “coltissimo” Benigni – ascolta -, completamente immemore dell’eroismo italiano che riconquistò l’Alto Adige, il Trentino, Trieste e l’Istria), e alla II Guerra mondiale: “Poi è arrivata la Seconda Guerra mondiale… l’Europa ha conosciuto contemporaneamente il trionfo del Fascismo di Mussolini, del Nazismo di Hitler, del Comunismo di Stalin… non si fa la differenza uno meglio e uno peggio… e c’è stato la ferita più profonda… l’Armistizio, i Nazisti sono diventati dei nemici, il terrore da combattere… ed è accaduto la cosa più terribile, fratelli contro fratelli”.
Poi lo showman passa alla guerra civile (la ferita profonda cui alludeva prima…), alla Resistenza, sottolineata dalle parole di Calvino a favore dei Partigiani, impegnati nella conquista della libertà, e dai consensi del pubblico che il comico chiosa affermando: “Voglio chiarire una cosa… Sono degli ideali. A volte non si sa. E quindi sono morti tutti gli Italiani e bisogna mettere pace proprio nel cuore degli Italiani e bisogna dire che è vero: non siamo uguali tutti di fronte alla Storia, ma siamo tutti uguali di fronte alla morte, quindi pietà per tutti i nostri morti” (sono morti tutti). Solito eloquio sgrammaticato e confuso e retorica strappa applausi.
La sintesi prosegue con “La nascita della Resistenza che, citando Calamandrei, sapete come è avvenuto… è nata spontaneamente, dal basso. Avete visto come le rondini quando partono tutte insieme per fare dei continenti o quelle gemme degli alberi che fioriscono tutte allo stesso giorno. È nata così, non si sa come, voaaaa… è venuto fuori. Giovani ragazzi di venti, diciotto vent’anni, morti perché noi potessimo votare, moltissimi di loro, e fare, incontrarci come stasera” (ascolta). Non c’è bisogno, credo, che io commenti il modo “chiaro e corretto” di esporre i concetti.
Benigni passa quindi alla Liberazione del ’45 e alle prime votazioni libere del 2 giugno del ’46: “Non potete sapere la bellezza di quel momento, che cosa è stato!”, e finalmente ai Parlamentari eletti per scrivere la Costituzione, “uomini divisi in tutto, escluso su una cosa: essere uniti, u-ni-ti! Ma erano divisi in tutto. Questi uomini, non so che cosa accadde loro… divennero dei giganti” (ascolta) e ci hanno fatto “un regalo che non potete sapere la grandezza”. Tra quei “giganti” Benigni cita goffamente Giorgio La Malfa, precocissimo costituente, visto che all’epoca aveva appena sette otto anni…  [3]
La “cultura elevata” trapela da ogni espressione del relatore.
Con accenti da comizio sempre conditi di smodato sciovinismo, con “grandi frasi” studiate a tavolino – non so quante volte prelevate dal sacco di chi le pronuncia – perché entrino nella collezione degli aforismi che affollano blog, commenti in Rete e tweet, con una critica nemmeno tanto velata ai Dieci Comandamenti, dove “è tutto un no” (ascolta), si conclude la seconda parte… ma della Storia della Costituzione, nemmeno l’ombra…
Costituzione di cui “l’oratore” sembra sùbito ignorare la natura di “legge”, distinguendo fra “la Legge”, che fa paura, e la Costituzione, che protegge (ascolta), quasi che le regole debbano trovare identificazione soltanto in un profilo punitivo e non anche in una funzione di protezione e di garanzia; Costituzione di cui l’oratore pare misconoscere la natura di insieme di precetti scritti, purtroppo esposti, come tutte le norme, alla continua violazione dei “potenti”: altro che “mamma” che ci protegge “da qualsiasi cosa”…: “Andate a vedere quello che c’è scritto, e voi nun dovete avere paura…”(ascolta).  Costituzione che di colpo torna ad essere legge: “la legge del desiderio” (anche il poema dantesco è per Benigni “il libro del desiderio”: formula di effetto, evidentemente)… (ascolta). Tutti auspicheremmo, invece, che i princìpi costituzionali fossero ben più che semplici desideri… Noi vorremmo che la Costituzione fosse piuttosto LA LEGGE DELLA GARANZIA.  Dire questo avrebbe però impedito al “coltissimo” di scolpire una delle sue frasi memorabili, tanto memorabile quanto assolutamente fuori luogo: i membri della Costituente “santi, navigatori, poeti…” [4], come dice poco dopo il Professore, “sapevano che il bisogno si placa, ma il desiderio mai” (ascolta), perciò avrebbero scritto “la legge del desiderio”… Mah… Gli articoli della Costituzione intesa come legge del desiderio, quale difesa e quale garanzia possono  dare? Dovremo vivere in un perenne vagheggiamento di doveri e di diritti, senza che i primi vengano mai adempiuti e i secondi mai rispettati? o di ideali da perseguire senza mai coglierne gli avveramenti? E quale “bisogno” di libertà, di uguaglianza, di fratellanza potrà in tal modo essere mai “placato”?

Siamo alla terza parte, all’esegesi dei princìpi fondamentali: Benigni, ormai, fa l’esegesi di tutto, dal corpo sciolto, all’Inno nazionale, alla Commedia dantesca, alla Costituzione, a quello che verrà… Non è mia intenzione analizzare in modo approfondito tutta la cosiddetta esegesi del comico: magari lo farò in un secondo momento, in altra pagina del blog. Basteranno alcune osservazioni sulla sua spiegazione dei primi due articoli, per dare un’idea del tenore complessivo della prestazione del “coltissimo”.
Da rilevare che nelle considerazioni che introducono la lettura e l’interpretazione degli articoli Benigni afferma: “Coloro che hanno scritto queste cose che noi sentiremo, erano politici, uomini di politica, che si occupava (uomini che si occupava!) di politica dalla mattina alla sera, e hanno scritto una cosa immensa, grandiosa” (ascolta). Però tra i  Padri Costituenti c’erano personalità non propriamente ascrivibili alla schiera dei politici: http://cronologia.leonardo.it/cost011.htm.
Dopo aver fatto notare che il linguaggio usato nella formulazione dell’Art.1 è “l’erba è verde”, parole che capiscono anche i bambini di due anni (ascolta), il comico comincia a spiegare… Non è contraddittorio e ridicolo spiegare “l’erba è verde”? O forse Benigni si è ricordato che fra non molto dirà, delle stesse parole, che “pe’ scrivere questo è come una formula di Einstein”… (ascolta).
“Siamo gli unici al mondo” la cui Repubblica è fondata sul lavoro, fa notare con enfasi l’attore (ascolta); tuttavia non considera gli aspetti criticabili di questo presupposto (che qui saranno più avanti considerati), né che abbiamo più disoccupazione di Paesi che “l’articolo” non ce l’hanno… ma Benigni insiste, si profonde in espressioni di lode e di meraviglia, parlando evidentemente della “Città del Sole”, o meglio, come dice lui, del “Paese dei Soci” (grazie alla Costituzione saremmo infatti tutti “soci”: ascolta). Non solo. La Costituzione avrebbe un tale potere da salvarci da possibili ricadute nella dittatura… Un’affermazione che è più diseducante che educativa. Chiunque rifletta e sia dotato di buon senso, si accorge benissimo che una simile asserzione è una sciocchezza. La Costituzione è garante fino a che il potere la rispetta, sicché, per quanto possibile, i cittadini vanno educati a conservarne il carattere di carta inviolabile attraverso una difesa vigile, comportamenti idonei e scelte opportune. Nessuno è legato alle formulazioni costituzionali come Ulisse al palo, caro Benigni. Il pericolo non è solo quello delle Sirene… Se un compagno lo avesse aggredito, essere legato sarebbe proprio stato d’impaccio all’eroe greco… Quelle del comico sono spesso trovate per lo show, che poca attinenza hanno con la realtà; sono artifici che riscuotono applausi perché fanno leva sulle emozioni, anche se lontani dalla logica seria e stringente.
“Questi princìpi sono il sovrano del sovrano, il re dei re! Grazie” (fazzoletto) ascolta
Il consenso è inevitabile, ma… I “sovrani scritti”, per un despota in carne e ossa, rappresentano “solo pezzi di carta” [5]: non c’è freno, nelle contingenze critiche della storia, per chi voglia violentare la democrazia ed esercitare un potere senza controlli. La democrazia non sarà mai un patrimonio definitivamente acquisito: essa può proteggere solo finché sia possibile proteggerla! Più realismo e onestà intellettuale, meno demagogia da bancarella, pagatissimo “dottore”.
Senza contare che un’analisi più competente e meno ispirata ad ideologie tramontate avrebbe permesso a Benigni di evitare di calcare la mano, anzi la bocca.

Riporto un articolo scritto in tempi “non sospetti” (3 giugno 2008) che smonta in maniera decisa e ben argomentata la tesi riferita dal comico toscano, per quanto la visione dell’estensore possa apparire ispirata ad altri presupposti ideologici.

Un articolo, quello che apre la nostra Costituzione, ricco di pathos costituente. Un pathos che, se fa onore ai nostri Padri, non deve esimerci da una riflessione rigorosa ed aliena dalla deriva ideologica. A leggere e rileggere questo articolo ci si accorge che la nostra Repubblica, a differenza della stragrande maggioranza delle Repubbliche del mondo, non sarebbe fondata su un principio, un riferimento morale che rappresenti una sorta di “linea del Piave” oltrepassata la quale gli italiani si sentirebbero in dovere di mobilitarsi per difendere la propria storia, la propria identità, il proprio futuro. La Repubblica italiana non è fondata sulla libertà, come ad esempio la Costituzione americana, o sulla fratellanza, l’uguaglianza, la giustizia, il perseguimento della felicità; no, è fondata sul lavoro. Ora, tutto può essere il lavoro, tranne che un principio. Esso è una condizione dell’esistenza umana, una possibilità, per alcuni come il sottoscritto una benedizione, per tanti altri che lavorano in miniera forse è una maledizione. Sotto il profilo cristiano il lavoro è “una” delle tante dimensioni della vita che sono date all’uomo per realizzare l’umano che è in lui ma non è la sola. Una logica da quattro soldi ci porterebbe a dire che chi non vive quella dimensione non sarebbe parte della res publica, o che non farebbero parte della civitas quegli ampi settori sociali che per ragioni politiche, economiche e culturali sono ai margini del mercato del lavoro. Volendo essere precisi, l’articolo 1 della Costituzione ci dice che viviamo in una Repubblica democratica fondata sull’eventualità che domanda ed offerta di lavoro si incontrino! Inoltre, se il lavoro fosse un diritto fondativo della Repubblica, esso andrebbe massimamente garantito e andrebbero massimamente sanzionati coloro che lo disattendono. Dunque, chi dovrebbe garantire questo diritto e sanzionare i fuorilegge se non il Sovrano? E a chi appartiene la sovranità in Italia? Al popolo! Almeno così recita il secondo comma di questo articolo. Ma il popolo di per sé è un’entità astratta, a meno che non lo si voglia reificare in chissà quale grande Moloch, nel Leviatano di Hobbes, ovvero in qualche partito politico – a vocazione maggioritaria –, specialmente oggi che il partito di governo, quello del “Popolo”, non è più condizionato da “spine nel fianco” democratiche imposte dalle coalizioni. È questo il seme statalista della Costituzione italiana, un seme d’illegalità e di illiberalità denunciato da Luigi Sturzo durante gli anni ’50, in aperta polemica con Fanfani, Mattei e la sinistra DC.

È proprio il numero eccessivo di dichiarazioni a carattere programmatico a costituire uno degli aspetti più problematici della nostra Costituzione. Scrive Pietro Virga: “non si comprende per quale ragione il costituente, in base ad una sua propria concezione politica … debba impegnare… l’opera dei futuri governi e dei futuri parlamenti”. Il noto giurista avverte che in una simile struttura riecheggia la concezione della “Dichiarazione del popolo lavoratore e sfruttato” (votata dal V Cons. Naz. Dei Soviet il 10 luglio 1918) e del Titolo I della Cost. russa dell’ 11 maggio 1925, secondo cui i diritti di libertà proclamati dagli Stati borghesi sono vere e proprie chimere, mentre l’autentica libertà sarebbe garantita soltanto attraverso l’intervento dello Stato. Paradossalmente, tutte le dichiarazioni programmatiche della Costituzione russa vennero abrogate nel 1936 per intervento diretto di Stalin.

A sessant’anni dalla nascita della Costituzione italiana, crediamo che il problema della nostra Carta fondamentale risieda nell’interpretazione di concetti chiave quali “stato”, “mercato”, “impresa”, “concorrenza”. L’attuale formulazione dell’articolo 1 della Costituzione, fortemente voluta da Fanfani, è figlia del loro fraintendimento, così come li aveva rappresentati nell’opera giovanile Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (1934) [6].

Un metodo più corretto, coerente con la rivoluzione liberale dell’età moderna, consisterebbe nello svolgere un’analisi del sistema economico: il capitalismo, facendo riferimento ad un sistema politico: la democrazia, e prendendo in considerazione il vincolo che lega tale sistema economico e politico ad una cultura: il pluralismo. L’astrazione con la quale l’allora giovane Fanfani analizzava lo spirito del capitalismo purtroppo ha fatto scuola, divenendo patrimonio comune del cosiddetto “dossettismo” e più in generale di un certo cattolicesimo di sinistra. A questo punto mi chiedo perché mai dovremmo considerare la Costituzione italiana una sorta di sacramento intangibile in onore del quale celebrare “indecifrabili” liturgie laiche. Le costituzioni sono realtà contingenti scritte da uomini per altri uomini e si differenziano dalla Legge divina (constans et perpetua) in quanto variabili e contingenti. Tutti sanno che la nostra è una Costituzione nata in un determinato momento storico, come risultato di un compromesso tra la tradizione cattolica, liberale e comunista. Caduto il comunismo, è forse un reato pensare di modificare quella parte della Costituzione dove traspare chiaramente un’ideologia drammaticamente e orrendamente fallita ovunque?

Flavio Felice, 3 giugno 2008

E per sottolineare che forse la nostra non è proprio la più bella Costituzione del mondo, trascrivo due osservazioni di lettori dell’articolo:

1) Non sono certo il primo a rimarcare che la nostra Costituzione è pesantemente intrisa di ideologia bolscevica. L’uso del termine “popolo”, dopo il riferimento al valore fondante del lavoro, è sintomatico: perché non usare il termine “Cittadini”? Consideriamo poi i Costituenti: quasi la metà di essi, appartenevano a partiti di dichiarata ispirazione marxista e fecero pesare la loro forza numerica. Penso quindi che sia assurdo pretendere che un testo concepito in un momento storico particolare pretenda di condizionare le generazioni future in saecula saeculorum.

2) Sarebbe ora di intervenire sull’art. 1 della Costituzione ed introdurre dei principi più profondi; affermare “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” non sembra proprio un principio carico di ideali (con tutto il rispetto per i termini “repubblica democratica” e “lavoro”). Nel Preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America (poche righe) si legge: “garantire la giustizia”, “assicurare la tranquillità all’interno”, “difesa comune”, “benessere generale” e, principio fondamentale di ogni autentica democrazia, “salvaguardare per noi e per i nostri posteri il bene della libertà”. La Dichiarazione dei diritti del 1789 si apre (art. 1) affermando “Gli uomini nascono e rimangono liberi…”; all’art. 2 della stessa, inoltre, si parla dei diritti naturali ed imprescrittibili quali la libertà, la proprietà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione. Sarebbe auspicabile che l’art. 1 della nostra Costituzione possa essere modificato alla luce dei magnifici esempi appena citati e la nostra Costituzione possa, così, caricarsi di una “tensione morale” che oggi, purtroppo, non è affatto presente nell’art. 1.

Continuiamo con “l’interpretazione” dell’attore.
“Io vi leggo questo articolo che voi andate al manicomio dalla bellezza”… (ascolta). Queste espressioni ripetute ogni volta che Benigni deve esprimere un apprezzamento, sono proprio fastidiose. In definitiva fra la Costituzione e la Divina Commedia sembra ci siano poche differenze: sempre al manicomio si va!  E c’è poca differenza anche con la poesia del Leopardi, visto che l’Art. 2 poteva anche chiudersi con il verso finale de L’infinito… “E il naufragar m’è dolce in questo mare”, afferma il “coltissimo” (ascolta). Dire baggianate del genere per colpire l’immaginazione di chi ascolta è quasi turpe. Non offendiamo Leopardi: la poesia è un’altra cosa e non dobbiamo cercarla in uno scritto costituzionale. Del resto Benigni ha capito che metterla sul piano “deamicisiano” paga davvero molto, riscuotendo il pieno favore del lacrimoso sentimentalismo italico.
Poesia che tocca evidentemente il vertice quando il comico afferma “comicamente”, dei diritti, che la Costituzione “li chiama inviolabili, perché se qualcuno li viola, sa che sta violando qualcosa definito inviolabile” (ascolta)… Logica senza gambe, per la quale se io dico che una cosa è bella, la chiamo bella perché se qualcuno la considera brutta sa che sta dicendo che è brutta una cosa definita bella… Altro che il pensiero di Aristotele!
L’importante è arringare gli sprovveduti e dir loro, con angusto nazionalismo e affabulazione commerciale: “Noi le abbiamo scritte un anno prima, di tutto il mondo!”… applausi (ascolta). L’importante è esibire grandeur e buonismo ad ogni occasione favorevole, come quando l’esegeta  commenta il passo in cui è scritto che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.  “Ora vi mando al manicomio, perché erano pazzi questi, dei pazzi. Sentite che hanno fatto. Dice che lo Stato richiede l’adempimento, lo richiede, dei doveri di solidarietà, cioè aiutare chi sta un po’ peggio di te, la solidarietà sociale: uno non ha lavoro, non ha salute, non ha, biso…, la so… perché  possiamo stà mmale noi, bisogna aiutarsi, li richiede, dice, io te li riconosco, però, hanno messo il dovere di aiutare chi sta peggio perché possono avere anche loro la loro fetta di felicità. Hanno cercato di produrre la meno infelicità possibile con questi articoli. Allora sentite, cos’hanno fatto. La libertà e l’uguaglianza si possono capire giuridicamente e politicamente, ma la solidarietà è un sentimento! Io non posso mettere per legge ‘Vi dovete volere bene’, legge! Ahò… Loro l’hanno fatto, hanno fatto diventare legge un sentimento… è una cosa impressionante! Cioè la, non esprime, dei co la un non ce ma em emana sempre un’azione giuridica, la legge, non è che proclama un’etica, no. Loro hanno fatto diventare un sogno legge: vi dovete aiutare, indero e che ha i doveri di s di solidarietà e dice che richiede l’adempimento a ognuno di noi, noi dobbiamo aiutarci, se ne fa carico, fa fa un passo d’una portata enorme, come se, al cinema chee che scriviamo, che bisogna nnammorarsi per forza?” [7] (ascolta). Superficialità, consueta incompetenza, fatua platealità, ingarbugliata espressione verbale. Va peraltro evidenziato che più di 150 anni prima, (prima di noi, Benigni!), la Costituzione francese del 1793 aveva sancito: “I soccorsi pubblici sono un debito sacro. La società deve la sussistenza ai cittadini sfortunati, sia procurando loro del lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a quelli che non sono in età di poter lavorare”.
La solidarietà cui si fa riferimento nell’Art. 2 credo sia da una parte dovere, obbligo di soccorso reciproco (in solidum obligari – obbligarsi ciascuno per l’intero – “therminus tecnicus” del diritto romano), dall’altra ciò che l’Oxford English Dictionary definisce “la qualità, propria di comunità, ecc., di essere perfettamente unite o unanimi sotto qualche riguardo, in specie in rapporto agli interessi, alle simpatie o aspirazioni”, e infine, e più ancora, quella che Èmile Durkheim chiama “solidarietà organica”, vista come ripartizione di ruoli sociali, in un “sistema di organi differenti, ognuno dei quali ha un compito specifico” (1893).
Non dunque sentimento, come afferma Benigni, al quale sfugge qualunque sfumatura di significato sociologico e giuridico della parola: il comico dimentica che non sta leggendo un passo del libro Cuore, come abbiamo detto, ma un elenco di norme costituzionali!
Inutile continuare.

Nonostante quello che abbiamo scritto e dimostrato, un coro quasi unanime ha levato un plauso incondizionato al genio e alla cultura di Benigni, alle sue doti didattiche, alla sua benemerenza che meriterebbe il compenso di qualsiasi cifra.
La folla sceglie sempre Barabba” (Roberto Benigni).

Leggiamo in Rete:

“Orgogliosa di essere Cittadina Italiana, grazie Benigni”.

“Sono felice di esser nata nel suo stesso secolo !!! grandissimo Benigni !!!”

” Io a Benigni ne darei anche il triplo… (di Euro; ndr) LUI almeno se li merita, non per quello per fa ma per quello che è… lo dimostra il fatto che sa parlare per 3 ore senza stancare, variando sempre dalla serietà al momento scherzoso, tenendoti sempre sull’attento… io dico solo che è un grande…” (Si fa notare che la gente è “così attenta” che non si accorge mai di che cosa veramente Benigni dice e di che cosa veramente Benigni sa! Io devo confessare che ho fatto una fatica terribile a seguirlo due ore per scrivere questa scheda: mi ha letteralmente rimbambito di chiacchiere urlate).

“… che bello aver potuto ascoltare le parole importanti dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, lette e recitate da un artista grande, bellissimo e pieno di amore verso il prossimo… Grazie Roberto Benigni…
(Quella dell’amore verso il prossimo, che Benigni nutrirebbe, mi sembra un’altra leggenda molto diffusa, fondata forse sulle sviscerate manifestazioni di affetto che Benigni riserva, durante ogni trasmissione, al suo pubblico… pagante; per il resto di questo “amore” non trovo altre e significative testimonianze).

“Tanti falsi politici vadano a lezione da Roberto.
Grandissimo Roberto, trasmissione eccellente da visionare in tutte le scuole di ogni genere e grado, questa sera tantissimi Italiani hanno appreso tantissime cose nuove su se stessi. GRAZIE ROBERTO, orgoglioso di essere italiano”.

“Che fosse un GIGANTE della cultura, lo sapevo già… L’essere riuscito a farmi emozionare per la nostra Costituzione è stato a dir poco unico… Grazie, spero che verrai ricordato come l’ultimo dei ‘PADRI FONDATORI’, colui che ha fatto scoprire a noi giovani questa bellezza tutta italiana che è sempre stata lì, ma che nessuno ci aveva mai mostrato per quella che è veramente. GRAZIE!”

“Geniale, unico e immenso”.

“Per la cultura son sempre soldi ben spesi, avessimo da protestare per i soldi che lo stato spende ogni anno in armi? a confronto il compenso dato a Benigni sono spiccioli!” (Però… 15000 Euro al minuto sono spiccioli… Per la cultura? quale? perché io non riesco a coglierla?…).

“Grande Roberto… una mente geniale, che sa fare di tutto purchè gli ignoranti comprendano… e se a qualcuno non piace… ci sono mille porcherie da vedere su altri canali… Non è mai abbastanza ringraziarti… xkè sei uno dei poki che sa dirci le cose come stanno… grazie ancora!”
(Il fatto è che Benigni ha successo proprio perché troppi ignoranti non capiscono…).

“Parlare di soldi è voler guardare il dito invece della luna… guardiamo l’artista che ci invidiano nel mondo (ma chi ce lo invdia?… ndr) e il messaggio che vuole mandare… di peli nell’uovo e molto di + ne abbiamo da vendere…”

“Benigni è patrimonio dell’umanità ma prima patrimonio dell’italia. detto questo, l’italia dovrebbe riconoscere questo patrimonio nazionale come se non nominandolo senatore a vita. forse monti, ultimo senatore a vita, ha dato più lustro alla nostra nazione di quanto ne abbia dato roberto? oppure andreotti, condannato, o tanti ancora che sicuramente non hanno le qualità morali, culturali, umane che possiede quest’uomo nobile nell’animo, nei pensieri ma soprattutto nei fatti. benigni senatore a vita”. [8]

Questo è il tono circolante degli osanna, per buona misura indotti dal martellamento pubblicitario e dall’irresponsabile sostegno, attraverso il silenzio o tramite il consenso, perfino dei “ceti colti”.
Solo qualcuno capisce come stanno veramente le cose!
“Benigni è solo un furbone, da anni fa sempre il solito spettacolo trito e ritrito, le solite battute, cambiando solo il titolo di testa e gli italiani abboccano…”. E difatti il responsabile di quanto denunciamo non è soprattutto il comico:
lui semplicemente sta al convenientissimo gioco.

Non si può chiudere senza accennare alla pietosa esibizione finale: uno stonatissimo Benigni deturpa la bella melodia del Maestro Piovani con dei “versi” di una banalità sconcertante, nemmeno sempre rispettosi della metrica del brano musicale, che diventano tuttavia subito fonte di irrefrenabili commozioni, di citazioni e di apprezzamenti incondizionati: “Bellissima la canzone finale. Benigni dopo 15 anni ha scritto il testo sul tema di Piovani per La vita è bella” (Mollica, indubbiamente critico “di peso”).
Io sono proprio un insensibile e le parole del “grande poeta”, ordinarie, perfino bambinesche e piene di fiacco sentimentalismo, non solo non mi commuovono, ma mi provocano compassione, insieme con una profonda nostalgia dei versi che scrivevano i miei migliori alunni di dodici, tredici anni. Che ci aspettiamo da tempi che non hanno conferito il Nobel al grandissimo Borges e candidano Benigni?

Vai, sorridi amore, vai!
Hai, negli occhi gli occhi miei.
Vai, con questa canzonetta
metti il cuore in bicicletta
e il mondo aspetta il tuo sorriso, vai!

È blu, il cielo è ancora blu
e tu coloralo di più.
Vai, nella bella confusione
milioni di persone,
il mondo è vuoto
se non ci sei tu.

E vai, sei bello come un re,
vai, bello come il ritornello
di questa canzone che io canto per te.

Ma, si nasconde anche il dolore
nel dolcissimo rumore
della vita intorno a te.
Fai la tua strada fra la gente,
falla innamoratamente
come quando eri con me.
E allora vai…

Vai, sorridi amore, vai!
So che mi sorprenderai.
Vai, con questa canzonetta
metti il cuore in bicicletta
e in fondo al mondo la felicità.
Vai, Ciao! Sei bello come un re!
Ciao, sorridi prendi il volo
e se un giorno sei solo
non ti scordar di me.

Le ingenue e buone mamme piangono di commozione, i palati avvezzi al “bello facile” hanno l’acquolina, magari gli stessi che disprezzano “Pianto antico”… Povera Italia!

Io chiedo scusa al Maestro Piovani che meritava altro commento verbale alla sua musica. [9]

Amato Maria Bernabei

Il parere di Sergio Romano

Cari lettori,
la politica non è una corporazione «a numero chiuso». Tutti hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni e di mettere il loro talento al servizio di una causa pubblica. Ma un comico che scende nell’arena, diventa maestro di Costituzione per un programma della televisione pubblica ed è generosamente compensato per la sua apparizione mi sembra una interessante anomalia italiana. Abbiamo assistito a una lezione o a una performance? Dobbiamo giudicare l’attore per la qualità dei suoi argomenti o per la sua vis comica? Quando si serve del palcoscenico, la satira fiorisce nei teatri di varietà, nei music hall, nei cabaret; ed è particolarmente efficace quando il comico è trasgressivo, irrispettoso, irriverente. Ma la Rai non è un cabaret e la Costituzione è materia troppo seria per essere definita «La più bella del mondo» e trattata come in un concorso di bellezza. Persino i costituenti, se tornassero in vita, si accorgerebbero che contiene troppe promesse non mantenute e che i suoi meccanismi istituzionali non sono più adatti al buon funzionamento del governo. Farne lodi entusiastiche significa creare l’illusione che una Carta possa risolvere i problemi della società con alcune formule magiche, come il «diritto al lavoro », e ritardare ulteriormente il giorno in cui cominceremo finalmente a riscrivere le sue parti invecchiate. Aggiungo, cari lettori, che il grande successo riscosso da Benigni dovrebbe essere interpretato dai politici come un ulteriore segno dello stato di discredito in cui sono precipitati. Gli scroscianti applausi riservati alla sua performance dovrebbero suonare ai loro orecchi come altrettante campane a morto.

http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/12_Dicembre_20/COSTITUZIONE-SECONDO-BENIGNI-MA-LA-RAI-NON-E-UN-CABARET_57b2cda2-4a70-11e2-bd66-a2d11be54edf.shtml

 

ALTRI CONTRIBUTI
(Riporto critiche in larga parte condivise, rimanendo però sempre distante da eventuali valutazioni di parte presenti negli articoli. Ricordo che le mie pagine hanno il solo scopo di combattere a favore di una cultura più sana e più vera).

 

La Costituzione e Benigni

Lo show di Benigni, con grandi indici di ascolto, ha avuto il pregio (per alcuni solo quello) di proporre il tema LA COSTITUZIONE, e fornito l’occasione di qualche riflessione critica su di essa. Io sono tra quelli che non pensa affatto che la nostra sia una Costituzione “meravigliosa”, perfetta. A differenza di altre famose, come quella americana e poi francese, aveva padri costituenti molto meno in sintonia… E si vede.
Sicuramente ribadisce principi fondamentali comunemente riconosciuti come irrinunciabili in un paese libero e democratico, ma li “mischia” ad altre istanze, con un risultato non sempre lineare che è figlio dei compromessi del tempo. Insomma, un bicchiere metà pieno, ad essere positivi.
Comunque il dibattito è interessante. Al riguardo ho preso dal lunghissimo articolo di Zagrebelsky (l’uomo, si sa, non ha il dono della sintesi , essendo professore e anche incline all’enfasi retorica), pubblicato su Repubblica di oggi (magari chi vuole può leggere il testo integrale) l’unico stralcio che condivido:

A differenza d’ogni altra legge, la cui efficacia è garantita da giudici e apparati repressivi, la Costituzione è, per così dire, inerme: la sua efficacia non dipende da sanzioni, ma dal sostegno diffuso da cui è circondata. La Costituzione è una proposta, non un’imposizione. Anche gli organi cosiddetti “di garanzia costituzionale” — il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale — nulla potrebbero se la Costituzione non fosse già di per sé efficace. La loro è una garanzia secondaria che non potrebbe, da sola, supplire all’assenza della garanzia primaria, che sta presso i cittadini che la sostengono col loro consenso.” 

In realtà questo principio si estende a TUTTO il sistema normativo di un consesso civile convivente: la grande maggioranza delle persone che ne fanno parte devono CONDIVIDERE, approvare almeno di massima, le regole comuni. Altrimenti non si è cittadini, ma sudditi, e quel sistema si reggerà solo sulla FORZA . La storia insegna che non sempre è sufficiente (per fortuna).

Posto quindi l’opinione di Piero Ostellino, sul Corriere della Sera:

“Liberi di estraniarsi nonostante Benigni”

Solo un Paese privo di una reale cultura politica, e di senso del ridicolo, poteva far commentare a un comico la propria Costituzione, senza precipitare nel ridicolo. Ma registrando un successo di critica e di pubblico che il testo della Costituzione, forse, non hanno mai letto. Per Benigni, i nemici della Costituzione sono l’indifferenza per la politica e il non voto. Qui c’è l’eco di convinzioni antiche. Da un lato, l’inconscio riflesso di tempi in cui andare a votare, magari una scheda prestampata dal regime fascista, non era un diritto, bensì l’imposizione di un (inutile) obbligo; ovvero, con la giovane Repubblica, quando andarci era il solo modo di essere considerati cittadini democratici. Si pensi all’identificazione, in una canzone di Gaber, fra democrazia e partecipazione.

Ebbene, quella di Benigni è «la libertà degli antichi», nella quale si concretava, e si esauriva, la vita del cittadino della polis ateniese — dove le donne e gli schiavi non avevano alcun diritto politico e gli uomini, nell’agorà, dove si discutevano, e si prendevano, le decisioni vincolanti per tutti, erano poche migliaia, se non poche centinaia — e, poi, ancora, dei sistemi liberali, ma non ancora democratici, post-assolutistici, dove il diritto al voto era di censo. La «libertà dei moderni», quella di cui godiamo noi, consiste (anche) nel diritto del cittadino di farsi gli affari suoi, di estraniarsi, se crede, dalla vita politica e persino di non andare a votare, senza che, come ancora accadeva solo alcuni anni fa, tale assenza di «partecipazione» fosse registrata come una carenza, se non da sanzionare, almeno da ricordare come mancanza di senso civico. La trasmissione di Benigni è nata vecchia non solo perché lui è figlio di un popolo italiano che non c’è più, ma anche di una democrazia che non è più quella nata ai tempi del compromesso costituzionale fra «le due Resistenze»: la Resistenza cattolica, repubblicana, liberale, azionista, che aveva combattuto il nazifascismo per portare l’Italia nell’Occidente liberaldemocratico e capitalista; la Resistenza socialcomunista che l’avrebbe fatta diventare una Democrazia popolare, un ossimoro rivelatosi, poi, una delle tirannie peggiori nella storia dell’umanità.

Il candido costituzionalismo di Benigni sarebbe stato attuale, forse, nell’Italia appena rinata alla democrazia e alle libertà; quando molti intellettuali ritenevano ancora la dittatura del proletariato il superamento della democrazia rappresentativa.

Nell’Italia d’oggi — che è cresciuta nella democrazia rappresentativa e nel capitalismo e che, dopo la fine del mito sovietico e del comunismo, non crede più nella rivoluzione come soluzione dei problemi del proprio tempo — ripercorrere gli articoli di una Carta scritta nello «spirito del (suo) tempo», ha il solo significato di perpetuare una vecchia cultura pasticciata, che ci ha costretti a chiamare al governo dei «tecnici» — alcuni dei quali, peraltro, figli, o nipoti, di quella stessa cultura — nella speranza di porre (invano?) riparo ai suoi danni…

Infine un  commento letto sul “diario” (adesso FB li chiama così ) di un grande amico, Valeriano, di cui condivido molte osservazioni.

Grande performance di Benigni e suggestivo spettacolo ieri sera su Rai 1.

Il Comico d’Italia s’è esibito nella lettura della Costituzione generando un’ovazione mediatica (si sa, l’audience è tutto) sui fogli della nomenclatura dell’informazione. Ma la sua esegesi dei primi 12 Principi fondamentali della Carta fa acqua da tutte le parti, densa com’è di falsi storici. Mi limito a rilevarne alcuni.

S’avverte subito quest’aria di abborracciata interpretazione, quando il premio Oscar inizia affermando che l’Assemblea Costituente era tutta composta da politici, tasto sul quale insiste a lungo. Considerare ‘politici’ nel senso che s’intende oggi, cioè uomini di partito, Benedetto Croce, tra i maggiori protagonisti della cultura italiana ed europea della prima metà del XX secolo, e Piero Calamandrei, tra i giuristi più insigni, è qualcosa di più che uno svarione: è non capire che la forza di quell’Assemblea consisteva proprio nell’eterogeneità della sua composizione, nel riunire uomini di cultura (che ovviamente erano stati eletti e quindi militavano nei partiti) con politici che si erano formati prima e durante il Ventennio e con giovani protagonisti di antichi e nascenti partiti politici che si apprestavano a vivere tutta la loro vita attiva nella democrazia, cosa quest’ultima che Benigni per la verità fa intravvedere.

Poi l’attore passa alla glorificazione degli art. 2 e 3, quelli dei diritti inviolabili, della solidarietà e della pari dignità dei cittadini. Secondo lui i Padri costituenti li hanno costruiti ispirati da un afflato poetico che loro, prima di tutti, hanno avuto (“Li ha copiati anche l’Onu!”). Chissà cosa avevano voluto dire quegli oscurantisti della Rivoluzione francese nel 1795 con il loro ‘Liberté, egalité, Fraternité’! E, ancora prima, cosa avranno voluto dire quei primitivi degli americani – hanno ancora la pena di morte – con la loro Dichiarazione (“Riteniamo che alcune verità siano di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che dal loro Creatore sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili; che fra questi ci siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità.”).

Benigni va poi in brodo di giuggiole quando affronta “La Repubblica, una e indivisibile,…” (art. 5). Qui gli appare evidente che i costituenti furono profetici, poiché già avevano previsto la nascita degli ignobili leghisti che vogliono la secessione padana. Ovviamente non è così. Nello stesso anno del varo della Costituzione – 1947 – in Sicilia era avvenuta la strage di Portella della Ginestra ad opera del bandito Giuliano, solo l’ultimo di cruenti atti innescati dagli indipendentisti siciliani che operavano da alcuni anni per realizzare nell’isola uno stato separato dall’Italia. Altri fermenti di secessione ribollivano in Alto Adige, dove la Südtiroler Volkspartei aveva raccolto ben 155 mila firme per aderire all’Austria (gli abitanti di quella zona sono oggi 100mila…). I Costituenti avevano nell’immediato le loro arruffate gatte da pelare, altro che saggezza divinatoria!

Altra bella tartufata di Benigni arriva al momento degli artt. 7 e 8, quelli che parlano del Vaticano e della religione. Benigni racconta all’enorme platea televisiva che la Costituzione sancisce la divisione tra lo Stato e la Chiesa e che “Non esiste più una religione di stato” com’era invece sotto il fascismo. Eh, magari fosse stato così, l’Italia d’allora aveva ancora bisogno del potere di convincimento del Vaticano e dei suoi sacerdoti, si limitò quindi a recepire i Patti Lateranensi del 1929, e cosa prevedevano questi Patti all’art. 1? Che “la religione cattolica, apostolica, romana è la religione di stato”. Bisognerà attendere l’odiato Bettino Craxi, autentico uomo di stato, per vedere la modifica di questa situazione nel 1984.

Questi sono solo alcuni degli appunti che si potrebbero fare alla rozza esibizione di ieri sera. Avrei voluto leggere qualcosa di simile su La Repubblica, sul Corriere della Sera… Invece dei cori conformisti e irreggimentati. Tutti già pronti all’annunciato nuovo regime?

http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/12/la-costituzione-e-benigni.html


Un buffone al colle

“La nostra Costituzione è la più bella del mondo? È perfetta e poetica com’è stata descritta da Benigni nello spettacolo voluto ier l’altro dai vertici Rai per rilanciare la tv di Stato? Nei primi 12 articoli, incensati per quasi due ore, c’è davvero la risposta ai problemi della nostra nazione come ha detto showman toscano? Prendiamo l’articolo 5: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». Benigni si è soffermato sulla genialità dei costituenti: avrebbero creato gli Stati Uniti d’Italia! Se fosse veramente così perché le Regioni hanno preso forma solamente nel 1970, a differenza di ciò che è scritto nelle disposizioni finali e transitorie al comma VIII? Come mai le prime votazioni democratiche popolari per eleggere un rappresentate regionale si sono svolte nel 1995? Dove è finita in cinquant’anni la spinta al rinnovamento? Forse è stata fatta la Costituzione italiana ma non ancora gli italiani?

Altri due articoli, il 7 e l’8: tre i protagonisti, la Chiesa, lo Stato e la religione. Benigni cade su alcuni punti, fa confusione e sulla questione dei Patti Lateranensi inciampa. Li hanno davvero firmati il Papa e Mussolini? No: in Laterano erano presenti il cardinale Gasparri e Mussolini. Oltre a questo il premio Oscar ha fatto intendere che il motivo era economico: se fosse stato così la legge delle Guarentigie, voluta dalla Corona italiana nel 1870 ma rifiutata dai pontefici, avrebbe offerto molti più soldi. Liquidare in questo modo l’articolo 7 non è da Roberto Benigni: come non è da lui citare l’usurpato motto evangelico «Date a Cesare quel che è di Cesare a Dio quel che è di Dio» per spiegare la laicità dello Stato. Banale e scontata spiegazione…”.

http://www.artandfacts.org/benigni/


Caro Benigni, questa Costituzione non è il Vangelo

“…dopo aver mangiato la caramella costituzionale di Benigni, ti resta un languore: ma davvero dobbiamo riversare il nostro amor patrio su una Carta, un Dettame? Dire come fa Benigni che la Costituzione ci protegge non è meno religioso che dire la Madonna ci protegge. È una fede, non un fatto. Sappiamo per esperienza che non bastano né le leggi né le preghiere per fermare il degrado, il declino, il malaffare, la malavita, il malessere italiano.

Mentre il Beato Benigni si allontana, spargendo odore di violetta, vorrei dire: rispettatela di più e amatela di meno, questa Costituzione, osservatela di più e cantatela di meno. Si ama la patria perché è la tua origine, la tua terra, la tua lingua, la tua storia, la tua tradizione, il tuo habitat, i tuoi cari, la tua casa. Non perché lo prescrivono articoli di legge. Non confondete i sentimenti con i regolamenti”. (Marcello Veneziani)

http://www.ilgiornale.it/news/interni/caro-benigni-questa-costituzione-non-vangelo-866820.html

 

Il cantastorie e il mito    

Più di dodici milioni di persone, secondo i dati auditel, hanno visto “La più bella del mondo” lo show che Roberto Benigni ha dedicato alla lettura e al commento dei primi dodici articoli della Costituzione italiana, definita come la “legge del desiderio”, come quell’insieme di principi imprescindibili ed esaustivi per la convivenza umana e per promuovere lo sviluppo delle persone. Al di fuori di questi principi e dello stato democratico altro non vi sarebbe che la barbarie della dittatura o della guerra di tutti contro tutti. Per il triste comico di Vergaio (Firenze), il popolo, infatti, è incapace di autodeterminarsi sempre pronto come è a “scegliere Barabba” e non Gesù o ad appoggiare qualsivoglia dittatura come quella nazi-fascista o quella stalinista. Insomma Benigni indirizza le sue capacità affabulatorie da guitto nazionale per riproporci il mito politico fondativo della repubblica italiana e della sua costituzione. Come ogni mito si basa su alcuni aspetti autentici per distorcerli e mistificarli e non ha bisogno di nessuna verifica nella vita della specie umana. Per questo il Roberto nazionale prescinde dal contesto storico concreto in cui è nata la costituzione e dei suoi settant’anni di vita. Per Benigni, ad esempio, l’articolo 11 che ripudia la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali ha permesso sessant’anni di pace in Italia. E se la cosa è in parte vera, egli omette di dire che lo stato italiano, potenza di secondo rango del sistema democratico totalitario dominato dagli Usa, è stato partecipe di quegli organismi internazionali quali l’Onu e la Nato che dal dopoguerra in poi hanno seminato guerra nel mondo sin dalla conclusione del conflitto mondiale. La guerra in Corea (1950), la guerra nel Vietnam, fino ad arrivare agli anni Novanta con la guerra in Iraq, alle guerre nei Balcani e in Afghanistan dove l’Italia è direttamente impegnata. Il comico politico, inoltre, niente dice del pacifico stato italiano che per tutto il dopoguerra ha costellato la penisola di stragi impunite da Portella della Ginestra (Palermo) fino alle stragi del 1992-93, solo per fare alcuni esempi. Questo non è solo perché la Costituzione “non viene applicata” dai politici (e allora bisognerebbe includere anche i padri fondatori). In realtà il problema riguarda la natura stessa dei principi costituzionali: in quanto principi politici di uno stato, sono inevitabilmente basati su una macchina da guerra, un apparato coercitivo, su fondamenta patriarcali, sulle divisioni sociali, la discriminazione degli “stranieri” e la menzogna. Anche quando promuovono solidarietà e fratellanza, come nell’articolo 3, perché la costituzione la basa sui legami di sangue e sul fatto che si è nati da italiani e si è riconosciuti da uno stato. Per questo Benigni definisce fratelli i fascisti che combattevano insieme ai nazi, ma non gli immigrati che approdano nella penisola alla ricerca di una vita migliore, ricordati invece sotto la voce problema. Il discorso di Benigni, insomma, utile ai politici e ai potenti di ogni risma, è rivolto specialmente ai settori migliori della società che cercano un’alternativa alla convivenza umana dominata dallo stato e cioè dalla violenza concentrata, dal dominio dei padri e dei patriarchi, sulla menzogna e sulle diseguaglianze e l’esclusione. Un’alternativa che richiede di partire non dai valori politici ma dai valori umani e dalla comune umanità, da una ricerca di bene comune in chiave universale come alcuni dei principi fondamentali per poter basare una reale e possibile convivenza umana libera e indipendente. Questa, però, è un’altra storia che non riguarda la costituzione italiana, il suo stato democratico e il giullare di corte Roberto Benigni. 

Antonio Pedace
http://www.lacomuneonline.it/index.php?option=com_content&view=article&id=684%3ABenigni-18-dicembre-2012&catid=42%3Apalazzo&Itemid=179&lang=it

Benigni, comico per costituzione    

Ho assistito con profonda delusione allo spettacolo di Benigni dedicato alla Costituzione italiana, descritta sorprendentemente e incautamente come la più bella del mondo.
Il titolo del programma rimandava all’idea di una trasmissione di informazione storico-giuridica che argomentasse questa presunta superiorità della Costituzione italiana su quelle straniere, invece si è assistito a una celebrazione pomposamente retorica della Carta e nulla di più (infatti non esiste costituzionalista al mondo che abbia mai avuto l’ardire di eleggere la Costituzione italiana a modello da imitare) .

Purtroppo, come spesso accade, la volontà propagandistica offende la verità storica.

Non è vero, come ha detto Benigni, che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (approvata dalle Nazioni Unite nel 1948) ha tratto ispirazione dalla Costituzione italiana (approvata nel 1947) perché, in primo luogo, la storia dell’elaborazione dei diritti fondamentali dell’uomo è molto più antica e sostanzialmente va ascritta al Giusnaturalismo (teoria filosofica che abbraccia tutta la storia dell’uomo, dai filosofi greci Aristotele e Platone fino a Kant); in secondo luogo, e cito wikipedia, “La dichiarazione universale del 1948 fu frutto di una elaborazione umana centenaria, che parte dai primi principi etici classico-europei e arriva fino al Bill of Rights (1689), alla Dichiarazione d’Indipendenza statunitense (4 luglio 1776), ma soprattutto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione Francese, i cui elementi di fondo (i diritti civili e politici dell’individuo) sono confluiti in larga misura in questa carta”… guarda un po’, non c’è traccia della “costituzione più bella del mondo”!

Inoltre anche la trattazione dei primi dodici articoli della Costituzione (i cosiddetti principi fondamentali) è stata molto lacunosa, ancora una volta per lasciare spazio all’enfasi retorica del Roberto nazionale. Ad esempio, non c’è stato nessun accenno alla palese violazione, negli anni, degli articoli 5 (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”) e art. 11 (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”).

L’articolo 11 fu violato nel 1998 quando il governo di centrosinistra D’Alema diede l’avvio alla guerra anglo-italiana contro la Serbia; l’articolo 5 fu violato invece nel 1975 con il Trattato di Osimo quando lo Stato italiano cedette parte del suo territorio all’ex Jugoslavia, ma non solo, fu violato ininterrottamente per più di venti anni visto che le Regioni italiane entrarono in funzione solo nel 1970!

E si badi bene, queste violazioni avvennero nel silenzio generale, anche degli organi di controllo previsti dalla Costituzione (Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale): ma ovviamente Benigni si è ben guardato dal ricordarlo!

Infine è stata taciuta una delle più macroscopiche contraddizioni della Carta presente nell’articolo 1, che afferma da una parte che la sovranità appartiene al popolo ma dall’altra subito precisa che il popolo la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione: come dire, il popolo è sovrano ma è lo stato che decide come e quanto lo è.

Per la verità i cittadini italiani sono molto poco sovrani se si pensa che la Costituzione fu approvata da un’assemblea costituente, ma non fu sottoposta a voto popolare (come è normale negli stati democratici) e gli articoli che prevedono istituti di democrazia diretta e partecipativa sono del tutto irrilevanti.

L’unico istituto ammesso a livello statale è il referendum abrogativo che ha lo scopo di abrogare una legge o parti di essa e l’articolo 75 impone ulteriori limiti al ricorso al referendum, in quanto “non è ammesso per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

La bellissima Costituzione italiana vieta, a livello statale, la possibilità di ricorrere a referendum propositivi (per vincolare il legislatore a emanare una legge coerente con il quesito referendario) e referendum legislativi (che introducono direttamente nell’ordinamento giuridico la proposta messa in votazione) .

Invece nella vicina Confederazione Svizzera (sottolineo che trattasi di confederazione di Cantoni e non di uno stato centralista come l’Italia) con 100mila firme i cittadini possono chiedere la modifica di singoli articoli o dell’intera Costituzione e il progetto di riforma sarà sottoposto a voto popolare.

In secondo luogo, in alcuni casi le leggi sono poste automaticamente in votazione (referendum obbligatorio), in altri è necessario raccogliere almeno 50mila firme di cittadini (referendum facoltativo).

Il referendum non esiste solo a livello federale, ma anche a livello cantonale e comunale, per le questioni prettamente locali.

Così i cittadini svizzeri, a differenza di quelli italiani, possono esprimersi liberamente su ogni questione, sia a livello comunale che a livello federale: possono giudicare iniqua l’introduzione di una nuova tassa o l’innalzamento di una aliquota; possono cambiare la forma di governo dello stato; possono confermare o rifiutare l’adesione ai trattati internazionali (che spesso impattano in maniera determinante sulla sovranità nazionale).

Siamo ancora sicuri che la Costituzione italiana sia la più bella del mondo?

Vorremmo, da parte di Benigni, una trasmissione riparativa ma sicuramente non ci sarà…

Dario Pederzani
http://www.milanotoday.it/politica/benigni-comico-per-costituzione.html#


Ancora:

http://www.qelsi.it/2012/laudience-di-benigni-e-gli-elettori-di-sinistra-incollati-alla-tv-alla-disperata-ricerca-di-un-guru/ (se gli Italiani hanno bisogno di un comico-insegnante, qualcosa non funziona)

http://www.partitoitalianuova.it/pin/le-idee/benigni-non-ce-piu-niente-da-ridere-in-questo-stato-ingiusto (Caro Benigni, è ora di smetterla di prendere in giro le persone con la faciloneria della comicità a “buon mercato” che in certi casi diventa tragi-comica)

http://www.siciliainformazioni.com/sicilia-informazioni/29711/benigni-e-quella-costituzione-da-rinnovare (sulla Costituzione da rinnovare)

http://vociprotestanti.it/2012/12/20/benigni-costituzione/#comment-464 (articoli 7,8)

http://freeyourmindfym.wordpress.com/2012/12/18/benigni-buffoni-di-corte-e-autoerotismo-costituzionale/ (buffoni di corte e autoerotismo costituzionale)

http://www.libertiamo.it/2012/12/15/la-costituzione-non-e-una-cosa-seria-la-commenti-un-comico/ (La Costituzione a un comico: l’Italia non è tra quei Paesi in cui ognuno svolge il proprio mestiere)

http://www.libertiamo.it/2012/12/18/benigni-lusato-garantito-che-canta-una-costituzione-banale/(divulgazione vuota, banale, prova di mediocrità)

http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1147390/Benigni–show-su-Raiuno–quante-bugie-e-ideologia-nella-sua-Costituzione.html (bugie e ideologia)


[1] Lo Stato non riconosceva ai cittadini diritti che gli spettassero per il fatto stesso di essere uomo. Nemmeno il civis romanus “poteva dirsi detentore, di contro allo Stato, di diritti scaturiti direttamente dalla sua natura di persona umana. [...] Il diritto romano elaborò minuziosamente le regole dei rapporti degli uomini fra loro e degli uomini di fronte alla cosa pubblica, non riconobbe però agli uomini, in quanto tali, dei diritti assoluti e per così dire radicati nella loro natura, da potersi far valere in ogni caso nei confronti dello Stato” (Alessandro Galante Garrone).
[2] “Il Codice Napoleone ebbe importanza fondamentale non solo per la Francia, ma valse anche come esempio per molte delle legislazioni su cui si sono fondati gli Stati moderni. Anche i princìpi primi del nostro diritto  si richiamano ancora in buona parte a quelli formulati nel Codice Napoleone” (Il libro Garzanti della Storia). Meglio essere sciovinisti e sottolineare con enfasi, incanalando la voce fra le mani accostate alla bocca, che gli Italiani hanno scritto un anno prima.
[3] Evidentemente il “coltissimo” non si ricordava trattarsi di Ugo La Malfa. Succede quando le cose si devono assimilare in fretta…
[4] Benigni è così abituato a ripetere formule a memoria, che le sciorina senza nemmeno riflettere: che cosa c’entrano  soprattutto i santi e i navigatori in questo caso?
[5] Hitler, a proposito dei trattati.
[6] Mi scuso con Flavio Felice, ma mi pare che quest’ultimo periodo del paragrafo non vanti una formulazione molto chiara.
[7] “Bisognerebbe organizzare un giorno a difesa della nostra lingua”, ha detto Benigni, commentando l’Art. 6 della Costituzione: chissà se si sia mai reso conto del contributo pernicioso che lui dà al disfacimento dell’Italiano!
[8] Avvieremo anche il processo di beatificazione… (http://www.odanteobenigni.it/?p=2008)
[9] Non posso tuttavia tacere che il tema della colonna sonora del film La vita è bella va ricondotto, come mi è stato segnalato su Twitter da Valerio Peracchi, a Pietro Mascagni, cosa chiaramente rilevabile ascoltando con attenzione “Gli aranci olezzano” dalla Cavalleria Rusticana:
http://www.youtube.com/watch?v=AToDfi0WBWs&feature=youtu.be; intorno al primo e al quarto minuto del documento si odono inconfondibili le prime sette note della melodia di… Piovani, da questi poi ripetute e ritmicamente caratterizzanti l’intero brano premiato con l’Oscar (ascolta).

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