Dante e Benigni, quale divulgazione?

 

La Rete è il polso delle patologie della nostra epoca.

In Internet c’è la risposta a qualunque interrogativo per chi cerchi di dare una spiegazione alle aberrazioni di cui il nostro sistema è artefice e vittima; per chi voglia sapere in che modo l’opinione pubblica venga condizionata, guidata dai timoni che impongono le mete, orientano le rotte, dettano i criteri del valore, ingiungono le “scelte”, stabiliscono i prodotti dello smercio e i tempi delle fiere, in un’ottica che non mira ad altro che al profitto, sempre e comunque, nel disprezzo di ogni principio etico e senza alcun rispetto per l’uomo.

Capita così che un segretario d’azienda (con tutto il rispetto per chi esercita questa professione in maniera competente) possa permettersi di improvvisarsi esegeta della Commedia, possa far credere alla gente di essere un luminare, diffondere la convinzione che Dante è “popolare”, che ha scritto in volgare per dare in pasto a tutti il suo capolavoro, possa spacciare per danteschi pensieri che il Sommo Poeta non ha mai scritti, possa travisare, manipolare, forzare allo show e all’avido interesse un’arte sublime, offendendola.

E la folla ripete la scelta di Barabba, e difende il proprio idolo ripetendo sempre le stesse, poche, infondate giustificazioni: Benigni è un gigante della cultura, Benigni ha avvicinato Dante alla gente comune, Benigni ha portato la Commedia nelle piazze e soprattutto in tv, redimendo il “trash”…
La spazzatura, purtroppo, ha vesti varie: forse la peggiore è quella che si traveste.

I danni? Eccone uno degli innumerevoli:
Benigni è un uomo di grande cultura, questo è un fatto incontrovertibile. Un uomo che conosce a memoria la divina commedia, cosa che tantissimi docenti universitari del campo dantesco non conoscono. Poi chiaro che non si può pretendere una spiegazione della costituzione come da un insegnante di diritto (che magari poi di Dante sa poco e niente, chiaro che nel proprio campo si è bravi e preparatissimi, essere uomo di cultura è chiaramente un’altra cosa). Ma è fuori ogni ragionevole dubbio che Benigni perché lo ha dimostrato più e più volte è un uomo di grande cultura in quasi tutti i campi dello scibile, che chiaramente non vuol dire sapere tutto su ogni singolo aspetto del sapere. Anche Umberto Eco è un uomo di cultura perché sa tanto di arte, letteratura, linguaggio, televisione. Non è che dico che cultura non ne ha perché sa poco di scienze e fisica. Di Leonardo Da Vinci uno solo ne è nato” (commento di vale9001).

Imparare a memoria “la Divina Commedia” (Benigni ha dichiarato in un’intervista di averla cominciata a memorizzare poco più di una decina di anni fa, “nei periodi tra un film e l’altro”. Per un motivo semplicissimo, aggiungo io: business… Una decina di Canti ogni due anni e i milioni sono pronti!) non è cultura:  anche una persona ignorante dotata di buone facoltà mnemoniche, può farlo, senza capire quello che ripete (capita anche a Benigni…).
La favola della grande cultura di Benigni viene ripetuta come un disco da quei suoi fan che evidentemente di cultura ne hanno proprio poca per accorgersi dei continui strafalcioni del comico “in quasi tutti i campi dello scibile”. Non scherziamo con il sapere, non accostiamo addirittura ad Umberto Eco chi stenta perfino a parlare! Altro che “fatto incontrovertibile”!
Non ci si lasci ingannare dai riconoscimenti “accademici” e dal plauso mediatico. Un mondo che conferisce lauree honoris causa a Valentino Rossi, a Vasco Rossi, a Benigni e simili non è degno di alcun affidamento.

Mentre i fan vantano meriti che non esistono, e lo fanno alla cieca, senza cognizione di causa, io ho approfondito il caso-Benigni e ho dimostrato in circa 350 pagine di libro la precaria preparazione del comico, profilando le negative conseguenze di una divulgazione d’ignoranza acclamata e premiata oltre ogni liceità.

Per fortuna qualche mente riflette.
Riporto la recensione del saggio “O Dante o Benigni” scritta dal Dottor Stefano Valentini, Direttore responsabile della rivista “La Nuova Tribuna Letteraria” (Anno XXIII, N. 109, Venilia Editrice, Padova), ringraziando sinceramente l’estensore per gli apprezzamenti riservati al saggio e al metodo di stesura, e per la condivisione della critica mossa ai contenuti “esegetici” del Tutto Dante. Per onestà intellettuale preciso tuttavia che non condivido l’indulgenza per le trivialità del toscano, che non mi sono mai sembrate “candide”, né apprezzo la montatura dell’Oscar (dovuto agl’investimenti iperbolici della Miramax) per un film che ritengo ricco di inesattezze, distorto, populista e banalizzato da insistenti toni sentimentali e patetici, e che solo per questo non avrebbe meritato il successo che ha avuto.

Amato Maria Bernabei

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La divulgazione è un’arte che non si improvvisa

A noi Roberto Benigni, come uomo di spettacolo, piace molto. Ne apprezziamo la comicità, che quando sconfina in argomenti e battute grevi riesce a conser­vare un tono innocente, stemperato dall’ostentata toscanità e da un candore fanciullesco. Riteniamo meritati i tributi e i riconoscimenti come uomo di cinema, in­clusi gli Oscar per il film La vita è bella. Ammettiamo, senza alcuna fatica, la sua eviden­te abilità nel muoversi su diversi registri, dal satirico al lirico, dalla quotidianità alla memoria, sapendo quasi sempre toccare i tasti giusti. Non ultimo, ci sembra degno di nota il suo essere chiaramente schierato in un ben determinato ambito politico, senza però mai arrivare al fanatismo truculento e all’insulto (implicito o esplicito) verso chi la pen­sa diversamente da lui, come purtroppo è abitudine di altri comici e numerosi commentatori: anche quando netto e spietato, il suo stile ha sempre il sapore dello sberleffo giullaresco, mai del disprezzo arrogante.

Finché si resta in questi campi, dunque, riteniamo sterili anche le polemiche sui com­pensi, che peraltro nel libro di Bernabei occupano pochissimo spazio: Benigni oggi è uno dei pochissimi personaggi (con lui Fiorello, Celentano e forse nessun altro) in gra­do di spostare milioni di spettatori da un network televisivo all’altro, solo con l’annun­cio della sua esibizione. Tutto questo, nelle logiche dell’emittenza, ha un elevatissimo riscontro in termini di introiti pubblicitari ed ha pertanto, a controparte, un preciso valo­re di mercato: da tale punto di vista i milioni di euro pagati sono, per la Rai o per chiun­que altro, soldi ben spesi e di sicuro ritorno. In Italia non sono questi gli insulti a chi fati­ca per portare a casa, a fine mese, un magro stipendio, bensì gli sciali di miliardi e mi­liardi di euro gettati ogni anno al vento in opere pubbliche incompiute o inutili, in spre­chi continui, in ruberie più o meno legittimate.

Precisato tutto questo, riteniamo il libro di Amato Bernabei non solo necessario in sé, ma anche esemplare di un metodo ormai, purtroppo, desueto: quello dell’argomenta­zione. Oggi, quando si discute su qualsiasi tema, nessuno argomenta più nulla: si procede per sentito dire, genericamente, e quando non è sufficiente allora si alza la voce. Al contrario l’autore, nel suo libro, espone un’argomentazione minutissima e certosina, basata sull’ascolto di ore e ore di registrazioni, sulla visione di filmati, sulla consultazio­ne di numerosissime pagine web e di altrettanti resoconti giornalistici (alcuni dei quali, fortunatamente, dimostrano come Bernabei abbia saputo dar voce anche al pensiero di molti altri estimatori danteschi). Il tutto rigorosamente documentato e trascritto nel vo­lume, persino con il supporto di un cd audio, in modo che nessuno debba fidarsi alla cieca delle sue affermazioni e tutti possano, se vogliono, verificarle. Una procedura persino maniacale, ma attenzione: non perché lui odi visceralmente Benigni, ma per­ché ama infinitamente Dante. Per questo diviene a sua volta oggetto di feroci attacchi, accusato di “lesa maestà” da parte dei sostenitori del comico toscano, i quali ignorano come Bernabei (a differenza del Benigni “dantesco” o poeta in proprio) non sia un im­provvisatore, bensì un intellettuale fornito di tutti i necessari strumenti di conoscenza e sensibilità per legittimare e, ribadiamo, argomentare il proprio discorso. Il tema, pertan­to, non è se Benigni “sia pagato troppo”: è pagato il giusto per il suo personaggio e per l’audience che genera, ma quando “affronta” Dante – proprio per non recargli un affron­to… – dovrebbe avere l’umiltà di fornire un risultato all’altezza del compenso. Non ci si può improvvisare esegeti. Nei secoli i commenti alla Commedia sono stati sì numerosis­simi, ma tutti con ben altri presupposti. In fondo, è solo questione di studio e prepara­zione: se un liceale (ma lo si studia ancora, Dante, al liceo?) fornisse al professore una lettura approssimativa e sgrammaticata e una parafrasi “libera” fino alla manipolazio­ne, quali sono quelle proposte da Benigni, verrebbe mandato al banco con un quattro come voto (se non meno), e dunque non si capisce perché al nostro comico spettino, di fronte alla medesima prestazione, ovazioni aprioristiche. Nessuno mette in discussione il diritto di Benigni di voler fare quel che fa, perché nessun poeta è “intoccabile”, neppu­re Dante. Gli si chiede, soltanto, di farlo meglio, con più cura e attenzione e (si diceva un tempo) “diligenza”, proprio come un bravo studente. Non ci perderà nulla, anche da un grande e rigoroso interprete dantesco come Vittorio Sermonti accorrono le folle (non televisive), anzi invece ci guadagnerà in rispetto e stima, di fronte a tutti e a se stesso. Perché non è vero che “in nome della divulgazione” e “purché se ne parli” si possa procedere a casaccio: altrimenti ci si accoda a chi sostiene che in fondo, “piutto­sto che non legger nulla”, sia meglio leggere i rotocalchi scandalistici e i romanzi rosa. Letture legittime, intendiamoci, e forse davvero meglio di niente. Ma non è questa la cultura che accresce, la vera divulgazione non è opera di macelleria e, soprattutto, “meglio di niente” non si addice a Dante.

Stefano Valentini

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