Mozart: unità e sintesi

 

La musica di Mozart salda il tempo e lo spazio
in una convergenza universale che è origine e termine del pensiero.

La creazione non ha categorie, non ammette ambiti di riferimento, elude ogni possibilità di coercizione. Da questo presupposto muove la vicenda umana di Mozart in una dualità asimmetrica con la sua vita artistica: destabilizzante la prima, gravida di perfezione umana la seconda. Il suo carattere, tranquillo, conciliante, pieno di entusiasmo, a mitigare anche i momenti di più grande sofferenza.

Parlare di Mozart è parlare di arte, pura e irrevocabile, in un sentire estetico che non ha riferimenti e dettati accademici, ma che si afferma per la sua natura intrinseca. Il classicismo solo marginalmente ha in lui una valenza storica: il genio sfugge alla temporalità. L’etimo classis attesta l’ordine, che è attributo della natura. Di essa Mozart comprese le voci e i silenzi, le tempeste e i sereni, la meditazione e l’uragano.

Più di una volta la leggenda affianca la realtà, quasi che una vita già di per sé straordinaria, non avesse sufficiente prestigio senza la presenza del mito. Ma i frequenti carteggi e l’imponente opera costituiscono punto di riferimento inequivocabile. Chiara appare la figura paterna, più nebbiosa quella materna, anche per la sua indole schiva ai riflessi del protagonismo. Entrambi, se pure con diversità rilevanti, costituirono l’unico riferimento sicuro nella vita del compositore salisburghese.

Leopold, buon musicista e ottimo didatta, intuì presto la grandezza del figlio. Lo sorprese all’età di quattro anni mentre era intento in una qualche scrittura. Gli chiese cosa stesse facendo. “Un concerto per clavicembalo; ho quasi finito la prima parte”, rispose tranquillamente il piccolo Wolfgang. Il padre, perplesso, esaminò il foglio e si arrese all’evidenza. La madre non colta, non raffinata, ma di grande sensibilità ed estroversa immediatezza, costituiva il momento di evasione dal rigoroso magistero. Trasmise al figlio il carattere allegro, un mondo sentimentale più ricco e profondo, la fantasia vivace.

Leopold ritenne dovere preminente valorizzare il talento del piccolo fenomeno, farlo conoscere negli ambienti più autorevoli della musica europea, e dargli al contempo una stabilità economica e una posizione sociale confacenti. Organizzò per questo, con attenta puntualità, una serie di viaggi che non otterranno i risultati sperati, ma che avranno per il giovane Mozart un’importanza decisiva per la formazione della sua personalità, non soltanto artistica. Al di là dei successi e delle delusioni egli avvertì sempre più pressante l’urgenza di contatto e di confronto. Le sue straordinarie capacità di assimilazione unite a una potenza di sintesi non comune, gli permisero di acquisire una conoscenza di uomini e cose che nessuna scuola avrebbe potuto offrirgli.

Ma conobbe anche l’ipocrisia, l’indifferenza, la superficialità. A Parigi come a Londra, a Vienna come in Italia, Mozart fu dimenticato con la stessa facilità con la quale era stato esaltato. Evidentemente ciò che aveva scatenato gli entusiasmi era il mito del bambino prodigio. Quasi nessuno, da adulto, comprese chi veramente egli fosse.

La vita di Mozart è un incessante movimento del quotidiano e dell’insolito, presente agli avvenimenti e distante da essi in alternanze indefinite, capace di abili tessiture e di modi grossolani. In contatto frequente con la nobiltà e le gerarchie ecclesiastiche ai massimi livelli, Wolfgang si rese conto presto dei giochi perversi del potere. Il suo spirito libero, non accomodante e insofferente a schemi e assetti precostituiti, orienterà la scelta definitiva di abbandonare la protezione delle classi dirigenti e svolgere in modo autonomo la propria attività.

La sua figura rimase indecifrabile anche ai contemporanei, perfino alle persone più vicine. Il perbenismo, la cultura, ma anche la norma, non riuscivano a comporre l’eccezionale con il banale, o meglio con l’apparenza del banale. E Mozart non fece niente per ‘apparire’ né per dare di sé un’immagine più in accordo con l’emozione che dettava la sua musica, lasciando i biografi in tale difficoltà da rifugiarsi nel mito dell’eterno fanciullo, preoccupati di doversi confrontare con riferimenti, episodi, comportamenti poco edificanti. Come se il genio, per essere tale, dovesse avere parametri assoluti di riferimento nella scansione quotidiana del vivere.

Fu acclamato e apprezzato molto più per la sua attività di concertista che di compositore. Al virtuoso riconoscevano eccelsa padronanza dello strumento, limpidezza di suono e soprattutto una incredibile abilità di improvvisazione, caratteristica unica più che rara. Al creatore rimproverarono spesso una musica infarcita di troppi elementi, lontana dal gusto e dalla moda del tempo. E tuttavia resta incomprensibile, all’interno di criteri costruttivi, decifrare il cono d’ombra incombente sulla musica di Mozart nel corso della sua esistenza; né le argomentazioni di quasi due secoli di critica sono sufficienti a chiarire i termini di una emarginazione che non può essere spiegata soltanto con l’impossibilità di comprendere il genio.

Conobbe un’infinità di persone di ogni ceto sociale e di ogni espressione culturale, venne a contatto con ambienti disparati, con realtà eterogenee. Ne ricavò una conoscenza profonda dell’animo umano, specialmente femminile, del quale ebbe insieme un concetto di grazia e uno di ambiguità. Rilevò le contraddizioni dell’individuo e della società attraverso una ironica indagine dei vizi, o nell’effimero significato di certi valori, o ancora nelle ipocrisie e nella doppiezza del gioco delle parti.

L’epilogo tragico di Mozart, di nuovo a metà tra la leggenda e la storia, riconduce ai tratti salienti del duplice itinerario umano e artistico. La salute divenuta ormai estremamente precaria, le condizioni economiche sempre più disastrose, allontanarono a mano a mano amici, parenti, collaboratori. I momenti di angoscia rendevano sempre più fugaci le riprese del suo istinto gioviale. Scriveva alla moglie: “Non so spiegarti quello che provo. È come un senso di vuoto che mi fa male, un anelito vago e inappagato che non mi abbandona mai, ma dura e cresce ogni giorno.”

Caso unico nella storia della musica, Mozart esplorò tutti i generi e le forme dell’arte dei suoni, dando ad ognuno compiutezza, eleganza, armonia. 

Il pianoforte, strumento iniziatico e completo, è il centro di gravità della sua musica, mezzo di espressione e fonte di ispirazione. Le Sonate esprimono il senso di semplicità e di purezza, di declamazione priva di accenti retorici scadenti in effusioni sentimentali o debordanti in virtuosismi inutili. Come solista o assieme ad altri strumenti, esso mantiene la sua autonomia ma in equilibri dinamici di perfetta consonanza: le mirabili sonate per violino e pianoforte rappresentano una conferma tangibile.

Tutta la musica da camera è un imponente testimonianza di certezze illuminanti, di foci che diramano in infinite combinazioni di limpide confluenze. Ordine e ricerca, assunti e scoperte, stratificano linee architettoniche di nitore assoluto. I sei Quartetti dedicati ad Haydn realizzano un equilibrio senza pari tra la molteplicità delle idee e lo sviluppo speculativo, attraverso una variabilità di temi che un movimento policromo di sviluppi e variazioni sottende.

I concerti per pianoforte e orchestra sono un affresco totale di musica, di poesia, di visioni sensibili; una proposta continua e sempre nuova di possibilità espressive di un linguaggio che diventa universale. Negli allegri come negli adagi, autentici gioielli contenuti nelle architetture dei primi. Così nell’adagio del concerto K467 con il tema proposto sottovoce dai violini e accolto dal pianoforte con una delicatezza che distilla nostalgie esistenziali; così, ancora, in quello del concerto K488 nei rapporti di forza invertiti, in cui il pianoforte enuncia intimi stupori notturni che i legni e gli archi incoraggiano e rivelano appieno.

Anche negli altri concerti per strumento solista e orchestra la condivisione non è mai stridente, anzi perviene a soluzioni rasserenanti. Così soprattutto nel Concerto per clarinetto K622 in cui questo strumento rivela appieno tutte le sue capacità vocali e di suono fino ad allora inesplorate. L’incantevole dialogo con l’orchestra del primo tempo, l’affabile dolcezza dell’adagio, il gaudio esuberante del rondò, scevro da virtuosismi insignificanti, raccontano sofferte confidenze e gioiose presenze, acquisite stagioni del bello e la precarietà dell’esperienza umana. Così nei concerti per corno che evocano paesaggi di incanto e di serenità in cui il suono dello strumento trasfigura le sua timbrica particolare in voci campestri e verdi di bosco, che si fanno elegia.

Le Sinfonie offrono in modo ancor più evidente una trasparente verifica del tracciato evolutivo della musica di Mozart anche all’interno dello stesso genere. Si impone, al di là delle singole letture esegetiche, un elemento chiave, sorprendente solo in apparenza. Anche negli ultimi, compiuti capolavori sinfonici, l’organico è decisamente ridotto. Mozart non crede all’impatto violento della massa orchestrale; l’impeto alimenta uno stato d’animo fuggente; la drammaticità non significa tempesta strumentale. L’abisso, la gioia, la verticalità appartengono a regioni profonde dell’anima a cui si accede attraverso strutture elementari, espedienti che generano emotività irrisolte, nell’addensare, ad esempio, l’una all’altra le voci in un gioco intenso di imitazioni, o conseguendo sfumature nell’alternanza di temi aperti e sereni, con altri umbratili e inquieti.

L’itinerario stilistico del teatro di Mozart riflette e scandisce il tracciato evolutivo della sua musica. La ricchezza di stili è sintesi e fusione di luoghi, di persone, di esperienze artistiche e umane, di peculiarità innate e di caratteri acquisiti. Egli rimosse le fredde, inespressive maschere della tradizione per dare ai personaggi affetti, sentimenti, vizi e virtù. Portò sulla scena l’esperienza reale, la presenza di un vissuto che può appartenere a tutti. Ne tratteggiò i lineamenti con una incomparabile analisi psicologica attraverso una varietà di accenti mai ascoltata prima. Con le opere della maturità riuscì ad ottenere una perfetta corrispondenza tra la dinamica drammatica e la struttura musicale. Infranse la rigida collocazione degli stili per attingere, nella loro confluenza, a un linguaggio dalle inesauribili risorse, affrancato da ogni retorica.

È la scoperta di un mondo composito che si rinnova sempre, nel fluire del tempo, nella sua cadenza immanente, ma che orienta il corso verso confini superabili, verso il metafisico.

Fino alle vette della musica sacra, testimonianza genuina del suo personale atto di fede. Che la musica, nella sua espressione soggettiva, trasmette in tutta l’evidenza e la profondità molto più che aridi trattati filosofici. Mozart fu sicuramente cattolico anche se gradualmente si allontanò dalla rigida osservanza fino all’indipendenza. Non sopportava la gerarchia, l’ipocrisia di molti prelati, l’irrazionalità del dogma. Oltre ogni argomentazione, le Messe ci porgono una religione ‘umana’ che attraversa tutte le fasi dell’intimo rapporto con il divino, nella serenità o nel dramma di un colloquio esistenziale, che è dialogo tra cielo e terra; come l’Ave verum, confessione e offerta, voce del silenzio che è luce e canto di meditazione. E poi il Requiem dalle circostanze inquiete, che, oltre la leggenda, avvertono l’inquietudine dell’ignoto, minacciosamente annunciata dall’entrata dei corni di bassetto e dei fagotti dell’Introitus. L’anima è sgomenta di fronte all’ineluttabile; la dimensione del tempo si sgretola nell’angoscia dell’eterno inascoltabile. La richiesta di pace è richiesta di perdono, di salvezza nel ricordo del sacrificio del Figlio. Che si fa supplica accorata e struggente nel momento dell’abbandono.

Si spense sulle prime note del Lacrimosa, preghiera sommessa, segreta, sublime; slancio estremo di umanità e di trascendenza nel mistero della morte che è mistero della vita; anelito a un infinito che non evoca l’immortale presenza nella storia, ma che postula il divenire dello spirito.

Sandro Bernabei

 

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