Risposta ad una lettera da intuire…

 

Twitter è un mare da pesca: puoi estrarre dall’acqua scarpacce ed anime nobili, vite in pena e gemme di sogni che aspettano di fiorire, giovinezze e tramonti, delicatezze e trivialità… Da pochi caratteri, da pochi indizi… E può accadere che da un incontro, da un’esigenza di comunicazione o di sfogo, nascano pensieri “universali”, che non hanno valore solo in rapporto a una fuggevole interazione…

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Ho letto con molta attenzione il tuo “fiume in piena”, la pressione sugli argini della tua acqua devastante.
Se potessi inonderesti il mondo della tua idea e della tua forza distruttiva…

Comprendo.
Ma quando intorno a te dovesse esserci il deserto, che ne sarebbe della tua esperienza acquisita e del tuo sapere ammassato e rinserrato nel tuo precluso granaio?

Io sono “democratico” solo apparentemente: perché credo davvero che il frutto imputridito e malsano della globalizzazione delle peggiori abitudini e delle più torve modalità di sopruso e di interazione, sia frutto di una natura umana più votata all’Inferno che all’Olimpo.
Sono forse “gentile”, signorile con l’umanità, più che avere in essa fiducia! Più per trovare qualcuno che ascolti che per redimere l’irredimibile ignoranza. Uso il sarcasmo velenoso per far sapere che ci sono e che capisco, che non sono una lana del gregge, che per quanto possano condizionare la mia vita, nessuno avrà mai la mia anima.
Non credo nelle crociate salvifiche. Denuncio per indignazione, per rabbia, nella speranza che qualcuno si allontani dai riti dominanti, effetto certo di un corrotto DNA dell’essere “più nobile dell’universo”, ma esaltati dalla tempesta dei messaggi di quei pochi “nocchieri” che governano milioni di galeotti nei mari aperti del mercato di tutto.
Abuso di metafore: sono lo stile del mio rancore per uno scempio che ha poche speranze di essere sanato.

Comprendo.
Tutte le tue ragioni… ma vedo alla fine del tuo sentiero un arido riso di scherno sul nulla.

Forse la ragione del sapere può risiedere nel piacere sottile di un’oligarchia di sapienti e di veggenti, ma un barlume di speranza che una scintilla possa accendere almeno un fuoco, capace di scaldare le sensibilità meno appannate, merita che ci si batta per una realtà migliore.
Ho imparato (come sempre accade quando i pensieri si incontrano) molto dal tuo sfogo: ho avuto il riscontro di una realtà vissuta di fronte a una realtà che intuisco, o che addirittura conosco, lungo le strade che percorre la mente: perché dove fisicamente non si arriva, all’intelligenza si manifestano tutte le espressioni sane (poche) e distorte (troppe) della vita che scorre intorno. Ho avuto la conferma che il disagio dei giovani sensibili e dotati è profondo, è vero, è pericoloso, ma certo non più del sistema che li coarta, che ci coarta.
Lodevole la tua fame di sapere, un po’ meno l’avidità di “possederlo” in esclusiva, che tanto rispecchia la cupidigia di chi vuole per sé tutte le ricchezze materiali possibili e che per questo distrugge l’uomo. I beni spirituali dovrebbero distinguersi, come dovrebbe differire il desiderio che li insegue e li coltiva.

La società (mostro incomprensibile per essere figlia di un’etimologia che indica alleanza, unione pattuita, condivisione di pane!) è malata, perché gli uomini sono afflitti da patologie di cui non si conosce la cura: voglio credermi ricercatore, e tentare scoperte, pervenire a terapie almeno allevianti. Magari il virus che tutto contamina risiede fra le pieghe delle stesse conquiste dell’umanità, mal digerite e male usate. Soprattutto gli avvoltoi che piombano sulle vittime per succhiarne “le tasche” fino all’ultimo centesimo, sanno bene di quali tasti servirsi per drogarle, per annebbiarle, per ammalarle, per dominarle: non mi meraviglia che “il porno” abbia tanta presa, fra sciami di istinti frustrati.

Mi chiedi perché una persona come me debba sentire il “dovere” di parlare ai sordi sperando di essere ascoltato: il mio è più un bisogno di rivalsa o desiderio di trovare condivisione, di educare quanti siano in grado di intendere e di apprezzare.
Come Letterato mi rendo conto che l’Inferno dantesco è lo specchio dell’inferno esistenziale, ma pure che esso contiene il germe verso il “paradiso”, verso la possibile redenzione dell’uomo. Amo Dante per la sua intelligenza, per la sua arte, per la sua musica: detesto visceralmente chi se ne serve per fare denaro, senza conoscerlo e senza capirlo, con la pretesa di divulgarlo, premiato dalla fanfara degli stupidi: spettatori falsi, falsi critici, falsi dotti, falsi uomini. Detesto l’”emblema Benigni” e lo combatto.
Certo, spero di scuotere chi ancóra non è sopraffatto dal torpore: esistono vari livelli di veglia e di sonno… Qualcuno in dormiveglia eviterà di addormentarsi. I malati terminali non hanno scampo, ma la terapia preventiva può avere successo!

Tu fa’ pure il congiurato: i sistemi di lotta possono essere vari; ma congiura per una giusta causa e non per finire dalla parte del tiranno, tronfio delle sue ricchezze o del suo sapere.

Io presto orecchio a tutti, la mia parola a molti e vedo a modo mio. Non penso al mondo come a un luogo in cui un giorno trionferà il bene, ma con atteggiamento scientifico credo di potermi servire di utili strumenti per migliorare le condizioni di vita dell’uomo (dell’UOMO).

Un vero piacere averti conosciuto e aver riconosciuto nella tua rabbia tanta parte della mia.
Forse divergono per ora le soluzioni che intravediamo, ma non è detto che non si possa trovare un punto di incontro.

Complimenti per la tua anima!

Amato Maria Bernabei

 

 

 

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