Letteratura, Nobel e “Ragion di Mercato”

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Non riesco a convincermi che in Italia non ci siano più scrittori di qualità, al punto che ignobilmente abbiamo bisogno di candidare al Nobel per la Letteratura comici e cantanti, con la prospettiva di doverci vergognare di fronte alla storia. La realtà è che, con molta probabilità, la scrittura di valore è soffocata dalla “Ragion di Mercato”, che tende a premiare qualunque deforme rigo, ma di taglio “popolare”, o di “affermata firma”, celebre non per elevata qualità di prosa o di poesia, quanto per indegni moventi legati alla visibilità mediatica, con inevitabile rovina della sfera letteraria, in particolare, e del livello culturale in generale, se è vero che il medesimo parametro governa ormai ogni settore del Sapere e dell’Arte.

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Oggi come oggi la letteratura non ha alcun senso
e la nostra modesta proposta sarebbe di chiudere le librerie per un paio d’anni
ed emanare un decreto che preveda l’arresto di tutti gli editori del mondo
Mario Di Vito 

Viviamo “in un Paese in cui il catalogo di letteratura lo stila Fabio Fazio
Paola Maola

 

“In attesa del responso dell’Accademia di Svezia voglio dirlo, ad alta voce, senza peli sulla lingua: ma quale Nobel per la letteratura a Bob Dylan! Insomma, basta con queste frescacce. Possibile che dobbiamo sistematicamente sottostare alla logica dello star system?
Mai come quest’anno s’è fatto avanti nel nostro afflitto paese un nome che ci rappresenta al meglio, che ci rende orgogliosi e convinti della oculata candidatura (vorrei tanto conoscere il misterioso proponente, l’insigne professore, l’istituzione lungimirante).
Il nome di un autore, di un compositore, che ha saputo frantumare i muri dei generi artistici. Uno scrittore riservato, discreto, artefice di versi scolpiti nella memoria di tutti, capace di fare della poesia qualcosa che interessa tutti, non solo il piccolo, miope, circolino dell’intelligecjia [1] nostrana. Qualcuno che ha da insegnare al mondo, Dylan compreso.
L’autore di rime alte, nobili, etiche. Roberto Vecchioni. Il mio candidato per Stoccolma.”
(Gianni Biondillo,
http://www.nazioneindiana.com/2013/10/10/il-nobel-per-la-letteratura-di-questanno/)

I premi di Letteratura, dal più “prestigioso” all’ultimo della catena di montaggio (in questo momento ce ne sono 104 in scadenza: http://www.concorsiletterari.it/), hanno alla radice il morbo che li logora a morte. Nemmeno il Nobel si sottrae alla patologia. Variabili che poco hanno da spartire con la scrittura di pregio finiscono per uccidere il senso di un riconoscimento che dovrebbe mirare a null’altro che ad onorare il genio per le Lettere.
L’area geografica, il mercato, gli interessi, il potere, “l’opportunità” ideologica, politica, religiosa, e altro e altro, orientano sicuramente le destinazioni dei riconoscimenti più importanti (e non solo), relegando in secondo piano quello che dovrebbe essere il fine primario di una palma letteraria.
Diversamente, autori come Tolstoj (perché favorevole al movimento pacifista russo?), Borges (perché “morbido” nei confronti delle dittature?), Proust (per tardiva notorietà?), Joyce (per censura?), Kafka (per fama postuma?), Ibsen (perché troppo socialista?), Celine (perché antisemita?) Roth (perché ebreo?) sarebbero stati premiati, mentre non avrebbero ricevuto “l’alto onore” penne un po’ spuntate come Sully Prudhomme, Bjørnstjerne Bjørnson, Gabriela Mistral, Elfrede Jelinek, Eyvind Johnson, Harry Martinson, Pearl S. Buck, Herta Mueller (e l’elenco potrebbe continuare), o penne improprie, come Winston Churchill, e perfino pennini giullareschi come Dario Fo [2], né mai a qualcuno potrebbe venire in mente di candidare Bob Dylan e Leonard Cohen, o i nostrani Benigni e Vecchioni…  [3] Purtroppo oggi “la notorietà, almeno per la letteratura, schiaccia ogni altro valore nell’opinione di molti” (Paolo Mauri). C’è chi scrive, e mi pare non abbia tutti i torti, che ormai “il Premio Nobel per la Letteratura è una tremenda e miserevole buffonata” (Simonetta Bartolini).
In effetti Stoccolma è riuscita, con Dario Fo, a premiare anche, e proprio, un buffone di professione, del quale è da dimostrare perfino lo spessore culturale…
Ascoltiamolo e leggiamolo, ad esempio, in un’intervista (ammannano):

Oggi è tutta cronaca nera. Vai a vederti i servizi di televisione e t’accorgi che TI AMMANNANO proprio costantemente, continui, in tutte le salse, perfino negli incontri, che so io, tanto per dirne uno, Vespa è così… sostenuto da questi giochi di tragedie, bambini uccisi, ricerca dei colpevoli, e poi il dramma della madre, e poi quello del padre e poi quello che… insomma è fatto tutto in modo che, che sia lo stordimento, e non si vada mai, assolutamente, alle cose vitali”.
http://www.altrainformazione.it/wp/il-premio-nobel-dario-fo-denuncia-linformazione-ufficiale/

E questo terribile stordimento mediatico di cui parla Fo, “sgrammaticando”, è anche alla radice del Nobel conferitogli, nonostante il nostro “letterato” confonda il verbo ammannare (raccogliere il grano in covoni) con ammannire (allestire, somministrare, propinare) o si produca in prestazioni di goffo sapere (per eufemismo) su Radio Uno.
(http://www.odanteobenigni.it/?p=782).

Tornando ai “versi scolpiti nella memoria di tutti” di cui parla l’architetto milanese a proposito di Vecchioni, io non ho il minimo dubbio: non sono letteratura e tanto meno sono degni di memoria. Parole in colonna, più di qualche volta di gusto deteriore. Io non ricordo un solo “verso” del cantautore candidato, e non saprei intonare nemmeno una battuta delle sue “melodie”. E se dovessi limitarmi a considerare l’orribile testo della canzonetta proposta in video (Voglio una donna), come documento (e a riprova?) del suo valore letterario, sarei portato a pensare che il Signor Biondillo abbia scritto la paginetta sul Nobel da conferire al “talento” di Carate Brianza quanto meno in uno stato temporaneo di alterazione della coscienza…
Leggiamo l’alto spessore poetico del testo segnalato:

Una canzone di Natale che le prenda la pelle  / e come tetto solo un cielo di stelle;
abbiamo un mare di figli da pulirgli il culo: / che la piantasse un po’ di andarsene in giro
La voglio come Biancaneve coi sette nani,  / noiosa come una canzone degli “Intillimani”

Voglio una donna “donna”,  / donna “donna”
donna con la gonna,  / gonna gonna
Voglio una donna “donna”  / donna “donna”
donna con la gonna  / gonna gonna

Prendila te quella col cervello,  / che s’innamori di te quella che fa carriera,
quella col pisello e la bandiera nera / la cantatrice calva e la barricadera
che non c’e mai la sera…..

Non dico tutte: me ne basterebbe solo una,  / tanti auguri alle altre di più fortuna
Voglio una donna, mi basta che non legga Freud, / dammi una donna così che l’assicuro ai “Lloyd”
preghierina preghierina fammela trovare,  / Madonnina Madonnina non mi abbandonare;

Voglio una donna “donna”,  / donna “donna”
donna con la gonna,  / gonna gonna
Voglio una donna “donna”  / donna “donna”
donna con la gonna  / gonna gonna

Prendila te la signorina rambo / che si innamori di te
sta specie di canguro / che fa l’amore a tempo
che fa la corsa all’oro / veloce come il lampo
tenera come un muro  / padrona del futuro. …

Prendila te quella che fa il “Leasing”  / che s’innamori di te la Capitana Nemo,
quella che va al “Briefing”, / perché lei è del ramo,
e viene via dai Meeting / stronza come un uomo
sola come un uomo.

Inedite rime, sofisticate metafore, magistrale foggia!…
Non siamo ridicoli, per favore. Non vantiamo il letame, lo “stall system”, in luogo dell’altrettanto ignobile “star system”! La Letteratura è un’altra cosa. Non calchiamo le orme di chi sostiene che Jovanotti è più grande di Beethoven perché… è più orecchiabile ed arriva a tutti, mentre il musicista tedesco – pure lui, naturalmente -, può interessare evidentemente “solo il piccolo, miope, circolino dell’intelligecjia”. Finiamola con la mitizzazione del “pop”, che nel suo ambito può anche avere un valore (quelle poche volte che ce l’ha), ma che non può essere termine di valutazione della qualità artistica. Specialmente quando la parola, piegata alla fruizione di massa, indulge alle sgrammaticature (vedi il “te” usato al posto del “tu” nel “poemetto” scritto dal Professore di Liceo Classico!). Per non parlare del messaggio (anch’esso pop?) contenuto nel brano considerato, piuttosto equivoco, al punto da non essere compreso al suo apparire (e il pop?) e da suscitare l’indignazione femminile, se è vero che pare inneggiare a un modello di donna senza cervello e ignorante, che per carità non legga Freud, o comunque alle “odiose” donne in carriera! Sennonché… “il cantautore milanese intendeva esaltare il ruolo della donna, ma della donna donna [4] e non di quella che si traveste da uomo per emergere” (Stefano Alessandrini). Anche Vecchioni ha bisogno di esegesi? L’intenzione del mittente conta poco nella comunicazione e vale piuttosto quello che arriva al destinatario.
Eleviamo il livello medio della cultura, non avalliamo sottoprodotti confezionati per “soccorrere” una condizione di sottosviluppo.
Se quelli dei Professori Roberto1 (Benigni) e Roberto2 (Vecchioni) sono i nomi “che ci rappresentano al meglio”, davvero viviamo “un’epoca di declino miserabile e inglorioso”, come opportunamente osserva la professoressa Simonetta Bartolini (per i professionisti veri basta la minuscola, che ormai distingue dalle infinite maiuscole delle enfasi di mercato…).

Vecchioni è dunque il letterato da Nobel, Claudio Magris, tanto per fare un nome, non esiste (è del “circolino”)!
Se vogliamo considerare il Premio svedese per quello che progressivamente sta diventando e che in parte è sempre stato, allora possiamo attribuirlo a chiunque batta sulla tastiera (o ancora articoli con la penna) parole a caso e riesca comunque ad “arrivare a tutti”… e magari assegnarlo quattro volte all’anno, dal momento che la folla dei grandi scrittori è tale che la cadenza annuale risulta incapace di riverirli tutti.

Rassegna di poesia vecchioniana…

Prima di cedere il rigo a qualche altro contributo, è opportuno offrire almeno un breve saggio dell’arte del candidato italiano a Stoccolma (gran vanto) Roberto Vecchioni. A cominciare dal testo premiato a Sanremo nel 2011, Chiamami ancora amore, dove, fra non pochi luoghi comuni, “galleria di immagini abbastanza banali e scontate” (Stinchelli), si parla delle idee che sarebbero

come il sorriso di Dio / in questo sputo di universo

spuma che “arriva volgarmente nell’occhio e non chiarisce come sia possibile far sorridere le idee e amare dentro uno schizzo di saliva” (http://dettaglitv.com/?p=3655), lasciandoci anche perplessi sulla natura di un Dio che, all’atto della creazione, ci avrebbe onorati con quel getto di umore filante che così frequentemente irrora i campi di calcio…
Non vale la pena che mi dilunghi: volendo, si può leggere, su questo “capolavoro”, l’ironica chiosa di Enrico Stinchelli in http://dettaglitv.com/?p=3873.

Occupiamoci degli altri “parti letterari” del Vecchioni, attraverso un album del 1971 e uno del 2007: non di più, potrebbe risultare… funesto! Tralasciamo dunque volutamente le cosiddette “opere letterarie” (quasi ogni personaggio di successo del circo mediatico ne può vantare alcune) pubblicate da Einaudi, naturalmente, della serie Benigni, Ligabue e simili, o le “poesie” edite da Frassinelli (2007) e da Pescecapone (2009), che mi pare poco o niente differiscano dai “versi” innumerevoli delle canzonette, capaci da soli di offrire un saggio probante delle cattive qualità di scrittura del Professore.
Il quale, come si vedrà, non sempre sorveglia la grammatica, come un insegnante di Liceo dovrebbe, e indulge anzi all’errore: chissà… forse in vista di una “poetica”, di un modus prossimi all’ignoranza del popolo cui si rivolge (per fini artistici, “caritatevoli”, o, come appare più probabile, per esigenze di cassa?).

quel ragazzo che [...]
…perdeva sempre, ma era sempre meglio di noi
(Lui se ne è andato, album Parabola, 1971)

 

Migliore no? troppo difficile da capire? meglio divulgare ignoranza?
Ah, comprendo: esigenze metriche!…

e te che sei stata il solo amore
(Improvviso paese, album Parabola, 1971)

Ancora l’ignorante uso del “te” come pronome di seconda persona singolare in funzione di soggetto!

Il bambino rincorreva
la sua barca di carta,
che ci vedeva la vita,
(Non lasciarmi andare via, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Il “che” è un perché? una congiunzione consecutiva? un orrendo pronome relativo?

se ne accorgeranno tutta quella gente
(Il violinista sul tetto, album Di rabbia e di stelle, 2007)

La gente se ne accorgeranno… Mi piace proprio: licenza poetica?

e gli diremo forte alla speranza
(Amico mio, album Di rabbia e di stelle, 2007)

Gli diremo alla speranza? Come a me mi? “Diremo alla speranza” sarebbe bastato. In ogni caso LE diremo è la forma corretta (gli è maschile e la speranza femminile, caro Professore!)

Le inarrivabili rime.

…lei lo so è un brav’uomo
…mi mandi a visitare il duomo 

io che vinco per mestiere
calar le braghe davanti a un ragioniere
(Io non devo andare in via Ferrante Aporti, album Parabola, 1971)

…vado a trovare
un vecchio amico ch’è militare
(Improvviso paese, album Parabola, 1971) 

mica avrò pianto, mi vien da dire
mentre risalgo per ripartire.
(Improvviso paese, album Parabola, 1971) 

che c’è di strano, siamo stati tutti là:
ricordi il gioco dentro la nebbia?
Tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là.
(Luci a San Siro, album Parabola, 1971)

 Tu sei beato già in partenza
hai qualcosa in più, la sofferenza
l’ha detto lui sulla montagna
sei povero, ti aspetta la cuccagna
tu tenta pure di salire
 mal che ti vada hai sempre da pietire
“Non ho mangiato mai la crema
e se fallisco è colpa del sistema”,
e ti vien buona anche la fame
per pianger sul destino infame
mentre secondo te chi ha tutto
che cosa porta a fare il lutto?
(Per la cruna di un ago, album Parabola, 1971)

 Ragazza, dovevi restare a casa muta
adesso c’è chi piange d’averti conosciuta
(Parabola, album Parabola, 1971)

 prese da parte il figlio accorto
gli tolse il libro cassa e lo mandò nell’orto
(Parabola, album Parabola, 1971) 

Se un amore? Me lo chiedi? Certo, e grande più di te
sono un uomo, non lo vedi? So la vita che cos’è
(Cambio gioco, album Parabola, 1971) 

tristemente solo,
andai a vederla al volo.
(La ragazza col filo d’argento, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 ti ho dato Pippo e Topolino
e Paperino e tutto quel che ho,
ma ci ho una cosa nel taschino
qualcosa, bella mia, che non ti do
(Neanche se piangi in cinese, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Uscirai con me da questa stanza
perché il tempo non ci frega mai
e gli diremo forte alla speranza
che non serve, che può anche andarsene, sai
(Amico mio, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Signore, tu che ci hai detto
“quando volete ritorno”,
toglici questi fantasmi,
questi fantasmi di torno.
(Questi fantasmi, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Sopra di me c’è soltanto il cielo
e in cielo scorrono gli anni e i mesi
nessun ricordo sembra più vero
tra gli urli altissimi dei francesi
(Il cielo di Austerlitz, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 

Il “raffinato” gusto estetico.

Apprezziamo la “bellezza” e l’originalità di questi doppi quinari di Improvviso paese (spero si colga il sarcasmo…): 

strozzavo l’urlo di aver vent’anni
nell’antracite del tuo calore
ed era il tempo che ci credevo
a questo schifo di mondo cane
(Improvviso paese, album Parabola, 1971)

e proseguiamo con gli altri brani…

Scrivi, Vecchioni, scrivi canzoni
che più ne scrivi più sei bravo e fai danè
tanto che importa a chi le ascolta
se lei c’è stata o non c’è stata e lei chi è?
(Luci a San Siro, album Parabola, 1971)

 Giocherò con la pistola come quando ero cowboy
solo invece che alle vacche
sparerò fra gli occhi miei.
(Cambio gioco, album Parabola, 1971)

 e il sole, mandate via questo sole,
sto fottutissimo sole…
(La ragazza col filo d’argento, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 altro che balle, sentimenti, tuffi al cuore
e piagnistei per scrivere canzoni;
(Non lasciarmi andare via, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 per non parlare della panna
che ti montavo e non ti monto più,
ma c’è una cosa che mi tengo,
perdonami, ma non puoi averla tu
(Neanche se piangi in cinese, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Ma tu sei capace di tutto,
perfino di pianger cinese,
perfino di prender sul serio
sta serie di balle palese
(Neanche se piangi in cinese, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 E dove andavo a finire io, cercandomi da solo,
un acchiappafarfalle nelle notti cattive,
con questa scusa del cazzo
che tu cammini e io volo
(Oh amore amore amore, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 hanno le vostre fandonie nelle orecchie
conoscono le vostre facce di culo,
madri piene di tranquillanti
padri che vanno sul sicuro
(Comici spaventati guerrieri, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 i poeti non saranno anche nessuno
ma hanno il potere di sputtanarvi.
(Comici spaventati guerrieri, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 E non c’è stata mai una donna al mondo
che io abbia amato quanto ho amato te,
come non c’è nessuna cosa al mondo
che non farei perché restassi con me
(Amico mio, album Di rabbia e di stelle, 2007)

chi sono questi cialtroni,
questi topi di fogna e bordello
questi ignoranti vincenti
con l’intelligenza dentro l’uccello?
(Questi fantasmi, album Di rabbia e di stelle, 2007)

Mandali a coltivare funghi in Val di Non
o a scelta il riso di Canton,
a fare gli orsi per turisti a Yellowstone,
comunque fuori dai coglion.
(Questi fantasmi, album Di rabbia e di stelle, 2007)

Vorrei svegliarmi un giorno senza bip bip
decerebrati sulle jeep,
giovani pirla fancazzisti che hanno un trip,
e fammi santa Meryl Streep.
(Questi fantasmi, album Di rabbia e di stelle, 2007)

sarà il cane che mi guarda come un cane
e piscia sempre controvento;
[...] o sarà semplicemente che il mio pene
non ha più nessuna fantasia
(Non amo più, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Mamma dammi centomila lire
che domani parto, vado a fà il pompiere
mamma dammi centomila lire
che domani voglio fare il bersagliere.
(Il violinista sul tetto, album Di rabbia e di stelle, 2007)

 Figlio, figlio, se nessuno ascolta,
la tua mamma ti farà una torta,
sona sona figlio tutta notte,
non ti disperare, tanto che ce fotte?
(Il violinista sul tetto, album Di rabbia e di stelle, 2007)

Dell’album Di rabbia e di stelle nemmeno prendo in considerazione il banalissimo testo Le rose blu.

Non avevo mai ascoltato, né tanto meno letto, i testi di Vecchioni: quelli dei due album passati in rassegna sono davvero brutti, salvo minime eccezioni. Estro dimesso, pensiero e sentimento piuttosto superficiali, ripetitività, banalità, versificazione maldestra, gusto estetico approssimativo, stile non raramente sgradevole… Altro che premio letterario! Viviamo davvero tempi di stravolgimento: a nessuno sarebbe venuto in mente, quarant’anni fa, di candidare al Nobel Fabrizio De Andrè, che pure aveva una vena ben più letteraria di Vecchioni. Tra i viventi sono certo molto più validi il Baglioni di E adesso la pubblicità o di Poster, cantautori come Renato Zero e parolieri di buona levatura come Mogol, tutti comunque improponibili per la candidatura ad un Nobel, per quanto riprovevoli siano state certe assegnazioni della commissione svedese.

Si impari a distinguere ambiti e ruoli, e non si confondano le competenze. Lasciamo suonare Chopin al pianista, comporre sinfonie al musicista, scrivere romanzi e poesie al letterato; conferiamo riconoscimenti adatti ai talenti specifici: l’Oscar agli attori ed ai registi, il Nobel agli scrittori… Si rammenti soprattutto che l’abbagliante mondo dello spettacolo e dei suoi divi è troppo spesso apparenza ingannevole, lamina d’oro sottile che nasconde il vuoto, e che la sua elevazione a mito assoluto distrugge i valori autentici, offusca il discernimento, enfatizza le qualità, confonde le pertinenze.

Riporto a scopo esemplificativo uno dei testi di Claudio Baglioni citati in precedenza.

E adesso la pubblicità

Tu dietro un vetro guardi fuori
lungo il luccichio dei marciapiedi
e la gente si è dissolta nella sera.
Tua madre altezza media, sogni medi,
che sbatte gli occhi da cammello
e non si è rassegnata e neanche spera.
Un cespuglio di spini tuo fratello
che pensa sulle unghie delle dita
appitonato con un’aria da bollito.
Tuo padre mani da operaio a vita
che ride e gli si spacca il viso
impallidito di tv.
Tu fretta di vivere qualcosa
e ogni cosa è già un ricordo liso
e adesso la pubblicità.
Tu e le tue voglie imbottigliate,
occhi come buchi della chiave
e un’ansia indolenzita sotto neve bianca.
Tuo padre aspetta sempre qualche nave,
funambolo sul filo del passato,
e cena con una bistecca stanca.
Tuo fratello è un grammofono scassato,
un fiume di pensieri in fuga,
si specchia in un cucchiaio e fa una bocca storta.
Tua madre si rammenda qualche ruga
e una domanda di dolcezza
che porta in tavola e va via.
Tu nascosta in fondo a un’amarezza
a far finta che il mondo sia un bel posto
e adesso la pubblicità.
Ma che giorno è? è tutti i giorni
ed una sera ogni sera
e questa sera come le altre,
che si siede accanto
e non c’è niente che ritorni,
nient’allegria e nessun cerino
per dare fuoco a tutto quanto.
Tu in quella schienuccia di uccellino
che si curva e si vedono gli affanni
dei tuoi domani e dei tuoi pochi anni.
Tuo padre si strofina le mascelle
come impanate nella barba,
una sigaretta in mezzo ai denti e lui ci parla intorno.
Tua madre che si sveglia a strappi e scuote
tutta la polvere di un giorno
senza persone e novità.
Tuo fratello scemo che dà uno spintone
al tuo cuore rovesciato come tasche vuote
e adesso la pubblicità.
Oggi è quasi un secolo di noia
e che si fa domani e dopo
e poi nei prossimi vent’anni?
Figli di speranze
per un attimo di gioia
nella città di antenne e cielo
e luci grigie delle stanze…
e la notte cade come un telo
a smorzare gli occhi ed i televisori
e tu dietro un vetro guardi fuori.

Per quanto ho letto di Vecchioni, non ho trovato un solo passo che sia in grado di competere, neppure lontanamente, con queste parole.

Amato Maria Bernabei

Il Nobel per la letteratura a Vecchioni?
Non fate questo oltraggio alla storia della nostra cultura

Dicono che fra i candidati di quest’anno ci siano Bob Dylan, Leonard Cohen e il nostro cantautore e che l’Italia sarebbe in pole position per avere il riconoscimento internazionale
di Simonetta  Bartolini

Dire che non è più una cosa seria, espone alla facile battuta: te ne sei accorta ora? Effettivamente da tempo sappiamo tutti, anche quelli che fingono di crederci, che il Premio Nobel per la Letteratura è una tremenda e miserevole buffonata.
Sappiamo tutti che viene assegnato non allo scrittore più meritevole scelto in base ad un criterio che abbia qualcosa a che vedere (almeno alla lontana) con l’estetica, il canone letterario ecc,  ma a quello del paese che le ragioni della cosiddetta geopolitica impongono, e in quel paese viene scelto un personaggio che, aderente al potere, non ha neppure la necessità di confrontarsi con il concetto nobile di letteratura.
Quando, anno dopo anno, l’Accademia svedese rende pubbliche le motivazioni dei concorrenti esclusi c’è di che rabbrividire. Lo abbiamo già scritto tempo fa, Tolkien, il grande inventore di lingue, teorico della lingua come attrice protagonista della creazione letteraria e non mero strumento della medesima, venne bocciato perchè, a dire degli “accademici”, la lingua del Signore degli anelli  non era all’altezza della storia narrata!
Quindi, sì certo, il Nobel per la letteratura non è una cosa seria, anzi. Ma leggere la notizia che i candidati per il 2013 sarebbero tre cantanti ovvero Bob Dylan, Leonard Cohen e il “nostro” Roberto Vecchioni, lascia esterrefatti e ammutoliti dallo sdegno e dalla vergogna di occuparsi, in tempi come questi, professionalmente di letteratura.
Cosa dovrei raccontare ai miei studenti universitari? Che è meglio studiare Vecchioni invece di Pascoli, visto che il primo rischia di passare nell’olimpo del Nobel e il secondo non lo ha mai avuto. Dovrei spiegare loro che le sue canzoni sono alla pari dei testi poetici di Quasimodo, Carducci, Montale e i suoi due romanzi alla stregua di quelli di Grazia Deledda e Luigi Pirandello?
Si dirà che le epoche non sono confrontabili, e che la nostra, artisticamente parlando, è una perfetta fotografia della società (antropologica, politica, culturale in genere) che l’ha prodotta, ovvero un’epoca di declino miserabile e inglorioso (non decadenza che ha una sua grandezza filosofica ed estetica a noi ormai ignota).
Si dirà che i cantanti, i migliori di loro, sono i nuovi poeti popolari, cosa abbastanza vera per quanto assai discussa e senza dubbio discutibile.
Si dirà altresì, e sono disposta a sottoscriverlo con convinzione, che le canzoni di Vecchioni sono bellissime, poetiche, ricche di stupende immagini, spesso capaci di raccontare la storia e la cronaca attraverso metafore intelligenti e seducenti. Sono disposta a sottoscrivere anche che è uno dei cantautori più attento a certa tradizione letteraria popolare italiana, araba, nordica, si pensi a Samarcanda  o alla Leggenda di Olaf;  cantore del mondo della poesia Arthur Rimbaud, ma anche Alessandro e il mare (ispirata ad Alexandros  di Pascoli) o Canzone per Alda Merini.
Però qui occorre fermarsi, perché Vecchioni è un bravo e onesto cantautore; si può definirlo, con l’enfasi tipica dei tempi, un artista del pop melodico (tanto che ha anche vinto Sanremo).
Come dicevo, si potrebbe con una certa forzatura declinare, ma a mezza voce e con tutti i distinguo del caso dovuti alla povertà dei tempi che poco offrono, il termine poeta popolare.
Ma il premio Nobel, per quanto degradato, è altra cosa, porca miseria!

Oltretutto, dicono i soliti bene informati, che quest’anno potrebbe anche toccare all’Italia vedersi assegnare il riconoscimento fondato nel 1901 a Stoccolma.
Così la cultura Italiana dell’ultimo ventennio dovrebbe passare alla storia della Letteratura con un capo-comico e un cantante?
D’accordo, direte che questo è quanto ci meritiamo; direte, giustamente, che l’Italia ha rinunciato scientemente e volontariamente ad ogni ambizione di cultura vera, profonda, autentica.
Da destra a sinistra negli ultimi 30 anni la nostra bella, millenaria cultura è stata affogata nel mare della mediocrità di ministri indegni per non dire peggio. L’hanno dileggiata, tradita, prostituita nei modi più infami, fingendo di farsene paladini.
L’hanno rivestita dei panni appariscenti e volgari di una puttana da strada e l’hanno data in pasto a chi voleva solo usarla per uno stupro violento e bestiale.
L’hanno resa inutile e superflua nelle scuole e nelle università.
Certo, avete ragione, se questa è la nostra cultura, se questo il conto nel quale è stata tenuta la nostra letteratura, e allora perché indignarsi se si parla di un cantante per il Nobel?
Perché chi scrive, pur nel disgusto quotidiano che prova, vorrebbe che almeno qualcosa fosse risparmiato dell’ignominia continua di questo sciagurato paese.
Per favore, il Nobel datelo ad un altro paese, lasciateci in pace non fateci questo ulteriore oltraggio, anche se ce lo meritiamo.

 

Se il Nobel fa a pezzi i ciarlatani come Dario Fo

Il premio Nobel peruviano Vargas Llosa condanna la moda di trattare i saltimbanchi come filosofi

Alessandro Gnocchi – Mar, 30/04/2013 – 07:55

Dario Fo si candida a un eventuale secondo Premio Nobel per la letteratura con un lungo messaggio pubblicato sul blog di Beppe Grillo. Vi chiederete: perché l’Accademia dovrebbe consegnare un secondo alloro al nostro uomo di teatro già vincitore nel 1997? Tutto merito della sua battuta sulla statura di Brunetta (che non sarebbe all’altezza) e del suo gioco di parole sul cognome di Schifani (che farebbe schifo).

Ebbene, queste non sono insulse freddure sconfinanti nell’insulto come asseriscono «i soliti giornali moralmente corretti e i media in generale». Questa è arte, scrive Fo. È il lazzo grottesco di chi vuole fustigare il potere, lo sberleffo geniale del giullare capace di sovvertire le regole. Quindi, subito dopo un accenno poco convinto al pericolo di censura, giunge il monito del comico stilato in limpida (?) prosa: «Potete continuare a cacciarci se vi riesce e, come ha richiesto certa stampa, a pretendere che l’Accademia di Svezia ci ritiri il Premio Nobel, ma qui bisogna che vi avverta subito: andate a rischio che in seguito a questo nostro comportamento verso una nazione come è oggi l’Italia ce ne diano un altro di Premio Nobel con la stessa motivazione del primo: “Questo premio vi è consegnato per aver dileggiato il potere a vantaggio della dignità degli oppressi”».
Segue Post Scriptum. Il Premio Nobel annuncia l’uscita del suo nuovo libro, scritto a quattro mani con la giornalista Giuseppina Manin: Un clown vi seppellirà (Guanda, in libreria dal 30 maggio). Si tratterebbe di «satira», «le persone spiritose si divertiranno… un po’ meno certi politici». In realtà, nel corso del colloquio con la Manin, Fo espone il suo punto di vista sulla dissoluzione dei partiti tradizionali e sull’emergere di nuove forme di democrazia. In altre parole, Un clown vi seppellirà è una riflessione sul Movimento 5 Stelle che si sviluppa a partire da personali ricordi del 1968. I lettori del blog di Grillo apprezzeranno e forse acquisteranno.

Pochi giorni prima, a metà mese, arriverà in libreria anche una raccolta di saggi firmata da un altro Premio Nobel per la letteratura, il peruviano Mario Vargas Llosa. Il titolo è invitante (La civiltà dello spettacolo, Einaudi), il contenuto è dirompente. Sarà interessante leggerlo in parallelo al libro di Fo, tenendo a mente anche le sue ultime sparate. Secondo Vargas Llosa sono saltate tutte le gerarchie artistiche: con la scusa di portare la cultura al popolo, intellettuali irresponsabili hanno esaltato superficialità e trivialità. I protagonisti riveriti di questo nuovo mondo sono i comici, che siedono al posto un tempo occupato da filosofi e scrittori, ormai screditati. La cultura si è ridotta a farsa e parodia. Siamo nell’epoca dei ciarlatani e dei saltimbanchi, ancora più nocivi quando si avvicinano alla politica, che abbassano al loro livello attraverso la retorica dell’antipolitica. Spietato.
Mario Vargas Llosa fa qualche nome a esempio della mediocrità generale. «Questa nostra epoca – scrive l’autore – conforme all’inflessibile pressione della cultura dominante, che preferisce l’ingegno all’intelligenza, l’immagine all’idea, lo humour alla serietà, la banalità alla complessità e il frivolo alla profondità ormai non produce talenti come Ingmar Bergman, Luchino Visconti o Luis Buñuel. Chi è l’icona del cinema del nostro tempo? Woody Allen, che è, rispetto a David Lean o Orson Welles, quello che è nella pittura Andy Warhol rispetto a Gauguin o Van Gogh; e nel teatro Dario Fo rispetto a Cechov o Ibsen». Il secondo Nobel può attendere.


[1] Forse in corsivo e con una “n” prima della “c” la voce russa si sarebbe inserita meglio nel contesto, nonostante il gratuito sarcasmo e, tramite questo, lo svilimento della semantica originale che designò con questo termine la lotta della cultura, della libertà di pensiero, contro l’assolutismo zarista.
[2] Motivazione dell’Accademia di Svezia: “Il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato quest’anno allo scrittore italiano Dario Fo, perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi. Tolto il riferimento alla tradizione dei giullari, la giustificazione pare più adatta a un Nobel per la pace: le qualità letterarie del giullare, però, qualcuno dovrà spiegarmele.
[3] Sul Nobel per le parolacce non avrei obiezioni. Ci sono in questo sito ampie dimostrazioni per quanto concerne Benigni; per Vecchioni bastano le testimonianze dei testi delle sue canzoni e dei suoi ex alunni: ” Gli alunni del liceo classico “Rebora” di Rho ancora se lo ricordano come prof,  si lamentavano delle troppe parolacce utilizzate, delle assenze del medesimo Vecchioni in tour, delle assurde interrogazioni collettive, a gruppi di sette, dei voti che non segnava, e così via” Dopo lo scandalo Dario Fo, vogliono dare il Nobel a Vecchioni. Che pena…
[4] Quella che deve pensare soltanto ai “figli da pulirgli il culo”?

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