Poesia: fra quanto e quale poco o niente vale

Ci sono, per fortuna, scrittori di moderna stagione che vestono panni antichi, ornano di classica forma i loro versi, alimentando il sogno di un risveglio per cui l’imbarbarimento incivilisca: sogno forse impossibile, come un ossimoro che trovi avveramento…

___________________________________________________

Materiale o immateriale che sia l’oggetto computato (libri o idee, per esemplificazione), la quantità è un numero. La qualità ha invece determinazioni molto più complesse, come dimostrano le classificazioni filosofiche, da quella di Aristotele a quella di Locke [1]. In questo contesto, però, se ne parlerà esclusivamente in funzione della sfera estetica, come giudizio di valore.

Per essa bisognerà ammettere una possibilità di valutazione non legata ai criteri del soggetto, ma ad un sistema “oggettivo”, un acquisito ventaglio di codici collaudati che permettano di stabilire che cosa debba essere considerato genuino prodotto artistico, indipendentemente dal gusto personale: convenzione senza la quale non sarebbe mai stato possibile scrivere, o semplicemente avallare, una storia della Letteratura, o della Musica, o della Pittura, né tanto meno, al loro interno, stilare gerarchie di artisti… Convenzione, in ogni caso, sulla cui natura, scaturita dalla tradizione o di origine trascendentale [2], è lecito dibattere.

Ciò premesso, ed ammessa la possibilità di valutare, si può certamente sostenere che il sistema consumistico, che assegna valore alla commerciabilità dei “prodotti” trascurando qualsiasi altro parametro, penalizza gravemente la qualità artistica, dovendo prioritariamente assecondare la richiesta di massa, legata al gusto di massa, non proprio esigente sotto il profilo “estetico”, tanto più perché oggetto di scarsa attenzione educativa, ed anzi di bombardamenti che lo trattengono nella propria dimensione, spingendolo sistematicamente a consolidarsi e, per così dire, ad acquistare la proiezione di sé nella “degna” merce predisposta dai venditori.

Al punto che non è possibile sottrarsi a un interrogativo drammatico: l’arte è morta? o magari c’è da sperare che le manchi luce nel cono d’ombra di un’eclisse? che sia nascosta fra il quanto, che per il mercato deve esser tanto, e il quale, che per il mercato deve esser mediocre?… Che sia dunque sommersa, risospinta in acqua, senza sosta, dalle perverse logiche dominanti?

Una speranza, per non paventare un’estinzione!

In effetti, sui “fondali”, gli esempi di sforzi per sopravvivere non mancano. Il richiamo a modelli che sembrano oltre orizzonte, come vele che hanno varcato la sommità della curva di mare colta da uno sguardo, è più frequente di quanto si creda, più fertile dell’arido terreno su cui la semente di quelle fogge cadde.

Ci sono infatti scrittori di moderna stagione che vestono panni antichi, ornano di classica forma i loro versi, alimentando il sogno di un risveglio per cui l’imbarbarimento incivilisca: sogno forse impossibile, come un ossimoro che trovi avveramento… Per non indulgere ad autocitazione, dal momento che chi scrive è proprio un’attestazione vivente di questi conati di sopravvivenza (non si allude agli sforzi di emissione di bolo indigesto, che molta letteratura circolante in effetti stimola…), basterà riferirsi allo smisurato (quanto meno per estensione) poema “comicavalleresco” in ottave, del padovano Stefano Tonietto, Olimpio da Vetrego [3], di cui riporto il contenuto dei risvolti di copertina e l’ottava pubblicata in quarta.

* * * * * * *

L’opera 

Un menestrello poco amato dalla Musa stipula un patto “scellerato” con un forzuto e rude agricoltore della profonda campagna vene­ta: questi, Olimpio, trasformatosi in prode cavaliere, attraversando un’improbabile Italia cinque-secen­tesca e percorrendo i più svariati generi letterari, compirà mirabolan­ti imprese che dovranno costituire la trama di un’opera da dedicare a qualche gran signore in cambio di moneta sonante.
Nel solco della migliore tradizione letteraria, ma con una stupefacente carica innovativa, “Olimpio da Ve­trego” può fregiarsi senza timore del titolo di “poema”, collocandosi tra il picaresco e il classico, tra il satirico alla Parini e il pastiche alla Gadda, tra il gotico e il boccaccesco, con echi di Rabelais, Ruzante, Folengo e Pulci, e suscitando in più di un pas­saggio un accostamento, per nulla blasfemo, alla “Commedia”, al “De­cameron” o al “Don Chisciotte”.
Interamente concepito in ottave di endecasillabi, per complessivi ses­santaquattro canti e 37.064 versi, “Olimpio da Vetrego” si pone come una pietra miliare, un testo destina­to a segnare un punto di svolta nel­la letteratura italiana agli albori del ventunesimo secolo.

 …la gloriosa gesta
ch’eternar voglio prima che dilegui.
(XIII, 1, 2-3)

Grazie al minuzioso lavoro di decodifica e rielaborazione dei lasciti di uno sbadato amanuense cinquecentesco, ricercati in modo caparbio e alla fine fortunosamente ritrovati, Stefano Tonietto tramanda al lettore moderno le mirabolanti avventure di un indomito e un po’ maldestro cavaliere.

«Già mi sgorga di rime una fontana,
già mi s’intreccian sillabe ed accenti;
Olimpio, va’! Per la fede cristiana
combatti e vinci, e se non vinci, astienti.
L’impresa tua comunque sovrumana
propagherò, te spento, ai quattro venti».
Egli una mano volse in giù spedito,
drizzando il quinto ed il secondo dito.
 

L’autore 

                     Stefano Tonietto è nato nel 1960 a Padova, dove vive e insegna materie letterarie al liceo.
Poeta lirico pentito, con un baga­glio di esperienze cabarettistiche e teatrali, nel 2010, dopo ventisette anni di lavoro, ha ultimato il poema comicavalleresco “Olimpio da Ve­trego”, opera di indubbio peso e di evidente spessore.

Per contatti: stefano.tonietto@libero.it
redazione@rivistainchiostro.it

 

Amato Maria Bernabei


[1] La nozione di qualità “comprende una famiglia di concetti che hanno in comune la funzione puramente formale di poter essere adoperati come risposte alla domanda quale?“. La sistemazione data da Aristotele è ancora considerata la migliore. Il filosofo greco distinse abiti e disposizioni, capacità e incapacità naturali, affezioni e loro conseguenze, forme o determinazioni geometriche.  Sistemazione che può essere semplificata in una partizione corrispondente a quella di Locke: determinazioni disposizionali, determinazioni sensibili, determinazioni misurabili (cfr. Nicola Abbagnano, Storia della Filosofia, Bergamo 2006).
[2] Nel senso di attinente “alle condizioni di conoscibilità  a priori degli oggetti” (Devoto).
[3] https://www.facebook.com/pages/Olimpio-da-Vetrego/172882692808186

____________________________________________

Questa voce è stata pubblicata in Archivio generale, Cultura, Letteratura, Poesia. Contrassegna il permalink.
Add Comment Register



Lascia un Commento

*
To prove that you're not a bot, enter this code
Anti-Spam Image