In ricordo del Professor Francesco Nicolosi

IN MEMORIA DI UN ILLUSTRE PROFESSORE

La Rete è un pozzo di paccottiglie dove i rari oggetti di valore affogano. Alcuni di essi risultano proprio ignorati o sprofondati senza possibilità di recupero. È indecente che ci sia un’inondazione di miti di nessun valore – quelli effimeri del mercato -, e che figure di rilevante spessore culturale ed umano siano del tutto ignote.

Professor Francesco Nicolosi

Ad una di queste certamente io devo l’amore per la Letteratura, la raffinatezza del gusto letterario, il rigore nella formulazione del pensiero, la cura dello stile (nei limiti delle doti che la natura mi concesse), e perfino la crescita dell’auto-stima, della fiducia nelle mie capacità di eloquio e di scrittura, grazie all’apprez-zamento sempre dimostratomi. Alludo al Professor Francesco Nicolosi, che ebbi la fortuna di avere come insegnante di Italiano nel triennio 1961-62, 1962-63, 1963-64 al Liceo Classico “Gian Battista Vico” di Chieti.
Riconoscente a quanto da lui ricevuto, intendo con questo articolo “eternare” la sua immagine e la sua perizia.
Contemporaneamente rendo omaggio all’amico d’infanzia ed egregio Professore Filippo Canci, drammaticamente scomparso nel maggio dello scorso anno, pubblicando un suo intervento in memoria del comune docente su “La Cronaca Locale d’Abruzzo” del 29 Dicembre 2005, n. 3.

Amato Maria Bernabei

Un ricordo della vita e delle opere
del professor Francesco Nicolosi
scomparso tre anni fa, ha lasciato un vuoto incolmabile

Di Filippo Canci. Tre anni fa, allo spirare dell’anno solare, veniva improvvisamente a mancare Francesco Nicolosi. Uomo vigoroso e vitale, leggiadro di schietta bellezza etnea, cordiale, gioviale, ironico, passionale quanto basta, amante della buona e non micragnosa tavola, figlio illustre e devoto della sua amata Sicilia, non meno innamorato dell’Abruzzo, sua terra di adozione, ha lasciato un vuoto profondo, soprattutto qui a Chieti, nei suoi amici e nei suoi alunni, non meno che nella sua compagna, Maria Rosaria Consoli, e nelle figlie, le dottoresse Marisa e Stefania. Così negli altri parenti tutti.

Nato nel 1923 a Catania, antica nobile città della Sicilia ellenizzata, vi compì i suoi studi, fino alla laurea in Lettere conseguita con lode addì 3 dicembre 1944. Nell’estate 1943, drammatica per la Sicilia e per l’Italia,  poté assistere ventenne agli aspri combattimenti tra i soldati tedeschi attestati sulle pendici dell’Etna e quelli britannici dell’VIII Armata sbarcati nel corno sudorientale dell’isola. Avrebbe ricordato, soprattutto, il valore con cui combatterono i canadesi della I Divisione di Fanteria, quelli che avrebbero combattuto, alcuni mesi dopo in Molise e in Abruzzo, quelli che dopo un’epica battaglia casa per casa, conquistarono, a prezzo di alte perdite in vite umane e in feriti, la città di Ortona a mare, la Stalingrado d’Italia. In Abruzzo egli arrivò, per insegnare ai giovani di questa Provincia di Chieti, nel 1948: aveva 25 anni. Cominciò con la scuola media di Atessa (“Jeder Anfang ist schwer!” [1] avrebbe ricordato con tono autoironico molti anni dopo). Dal 1950 fu a Chieti, prima nella Scuola media Giovanni Chiarini poi nell’Istituto magistrale Isabella Gonzaga del Vasto, infine nel Liceo ginnasio Gian Battista Vico, docente di Lettere Italiane e Latine fino ai primi anni sessanta, quando passò a dirigere in successione, quale preside in ruolo ordinario, i licei classici di Ortona e di Lanciano ed infine l’Istituto magistrale di Chieti nella nuova e propria sede alla Civitella.

Aveva frattanto accompagnato l’insegnamento con esemplari, nitidi saggi critici dedicati al grande conterraneo Giovanni Verga, con speciale riguardo al Mastro don Gesualdo. L’anno scolastico 1977-78 fu l’ultimo anno di servizio nella scuola media superiore: dal 1978 infatti egli lavorò presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Gabriele D’Annunzio. Divenuto docente universitario, fu titolare della cattedra di Filologia italiana e incaricato di Letteratura italiana dall’anno accademico 1983-84 a quello 1998-99. In tale periodo la di lui attività scientifica si estese da Capuana e Pirandello a D’annunzio e Pomilio; da Sciascia, Bufalino e Buttitta alla Maraini e a Tobino. Collaborava intanto a vari periodici letterari e veniva chiamato nelle giurie di molti premi letterari, ormai personalità di fama non solo in Abruzzo sibbene anche in Sicilia e in campo nazionale.

Studioso convinto della stretta interdipendenza fra struttura socioeconomica e vita civile e letteraria, Francesco Nicolosi impostò la propria attività di critico letterario sulla storia e sulla filologia, coniugando in tal modo l’eredità storicistica di Francesco De Sanctis e quella idealistica di Benedetto Croce con gli apporti più aggiornati della critica strutturalistica e stilistica. La produzione saggistica di lui, pertanto,  si fa apprezzare per sicurezza di metodo, per puntualità di indagine e di raffronti filologici, per felicità ermeneutica, per chiarezza ed eleganza di stile. Vide infine postuma la luce l’ultima fatica di Nicolosi Pirandello e l’altre. Postfazione di Gianni Oliva, Casa editrice Rocco Carabba, Lanciano 2003, pp. 173, Piccola Biblioteca Carabba 2, euro 13,50. Il volumetto, evidentemente frutto di un lavoro editoriale affrettato, che ci si augurerebbe episodico, presenta purtroppo non pochi refusi, a cominciare da quello incredibile sulla costa della brossura. (Detto per incidens, l’adozione dell’elaboratore elettronico, se facilita e affretta i tempi di stampa, non per questo rispetta l’esattezza e la perfezione, a meno che la macchina non venga sorvegliata dall’attento occhio umano). In questo studio, che assume il valore di ultima testimonianza della sua militanza di critico e, come nota l’Oliva, di “estremo confronto autobiografico con il suo autore”, il Nicolosi esplora il rapporto fra Luigi Pirandello e il mistero trascendente dell’essere e della vita, di quel totalmente Altro, secondo la felice espressione di un famoso teologo [2]: dalla giovanile silloge poetica Mal giocondo agli ultimi drammi. E l’assunto sostenuto è che questo tema è sempre presente nell’arte pirandelliana ed è più importante di quanto la critica non abbia sospettato o non voglia ammettere.

Professore severo e cordiale, oltre che giusto, così lo ricordo da quando (era l’ottobre 1964 e in quell’anno scolastico ricorreva il VII Centenario della nascita di Dante Alighieri) lo ebbi mio insegnante al Liceo Classico di Chieti. Con i miei compagni di allora rammento, oltre all’indiscussa preparazione, la personalità spiccata e compiuta di uomo del Sud, di galantuomo e di gentiluomo, l’umanità profonda e varia di docente e d’intellettuale, la severità sollecita di educazione di tutti gli allievi, le battute ironiche ed allusive lanciate nel suo persistente accento catanese. Ricordo, soprattutto, una frase, che mi confidò agli inizi della mia carriera d’insegnante nel Liceo classico di Ortona e che non ho potuto dimenticare: “Bisogna amare gli alunni”. E perciò, in forza di questo, Francesco Nicolosi fu ed è professore amato e rimpianto.



[1] Ogni inizio è difficile (ndc).
[2] Karl Barth, Lettera ai Romani (ndc).

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