Mia Madre

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…………………………Ho sempre saputo poco della vita di mia madre, ancor meno della sua giovinezza, meno ancora dell’adolescenza, niente dell’infanzia e della sua nascita. Perciò ho voluto tracciare a grandi linee le tappe della sua esistenza, immaginandola bimba, fanciulla, giovinetta, donna, e quindi guardando con gli occhi dell’anima la sua maturità, la sua vecchiaia, ricordando la morte direttamente ed esclusivamente vissuta. Tutto in un’aura sognante, di delicata mestizia e di profonda commozione.

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BIOGRAFIA

* * * * *

9 Luglio 1906

Forse pioveva, ed era l’aria
immersa in quel sapore
umido di pietre accalorate,
quasi fumanti
aliti di stalle. O forse
in un azzurro senza ombre
il sole profumava gli altipiani,
e dondolava il vento
foglie e canti
inaccessibili.
Nascevi,
tu come tanti fiori,
e già chiedevi petali
al tempo.

Infanzia

Sappiamo che durò
da soffio a soffio
la primavera,
che fuggì con ali
ingorde di rapace,
nel solare spazio
della stagione che tradisce,
e si piegò tradita
perdendo il volo.

Ma fu ridente,
spensierata e dolce
di giuochi e di lusinghe.
Colse negli occhi neri
notte e lampi
dei foschi vortici
montani,
gridò stelle purissime
scheggiate
da ventate taglienti,
si bagnò negli odori
che rincorse
nei vicoli incrociati tra le case
strette
in un affollato
desiderio.

E si stupì delle sere
sepolte nei silenzi di neve,
ed inseguì seduta al focolare
le frementi spirali
della fiamma e le faville
effimere…
Come sulla fuliggine del muro,
in una vampa sterile,
si propagava rapido
il sogno.

O rise l’abbandono spensierato
degli incontri festosi,
l’intesa solidale
che si accende
nei giuochi di bambina
fervidi;
pianse la rabbia del capriccio
e dello scontro ostile,
o tenne il broncio… quel velo
dell’infanzia
sopra l’onda che scintilla.

Nel letto, a sera, si sentì sicura,
se colse da uno sguardo intenerito
una luce
che avrebbe stemperato
l’ombra; o forse paventò
le gigantesche
braccia del buio e si raccolse
come in un guscio,
strinse gli occhi
ai fantasmi della mente.

E si compiacque, in una luce viva
come nessuna, di vezzi e gestri
e di carezze lievi sui capelli
d’inchiostro,
chiese più volte al silenzioso
vetro
se fosse bella.

Crebbe.

Adolescenza e giovinezza

Forse lo seppe dal silenzio
strano di oggetti familiari,
dal perduto suono
dei giuochi,
da contorni più chiari e senza frange,
dalle favole stinte…
o da uno sguardo che le scese
in cuore.

L’acquarello nebbioso
e senza bordi
era svanito.
Ma s’infiammava un orizzonte
chiaro di nuovi sogni…
il canto delle sere su ricordi
tremanti, l’invaghita
luce degli occhi, il volo
di pensieri fruscianti, l’abbandono,
l’improvviso trasalimento,
il vento senza voce
di un dolore
dolce, l’incantato
smarrimento.

Ora lo specchio
complice tramava
tele sottili di studiati sguardi,
di colori appoggiati all’incarnato
fresco del viso, di tessuti
arrendevoli, venati
di merletti,
e di capelli sciolti
ad invitare il vento.

Un suono di campana sul raccolto
paese già chiamava
al rito,
e nell’aria di festa, dal groviglio
di strade, lungo l’erta, convergeva
la gente ad un incontro.

Distolta dallo specchio
s’incamminava al canto, alla preghiera
ed al segreto desiderio.
Così lo sguardo divideva il tempo
tra i fiori dell’altare
e il fuggitivo lampo,
e la mente
tra il pensiero devoto
e l’invadente passo del cuore.

4 Ottobre 1930

Forse pioveva, ed era l’aria
immersa in quel sapore
umido di legna, già pervaso
di varchi di cantina,
o forse il sole
scioglieva da un cristallo
senza ombre le tinte
accese dell’autunno,
e il vento agli altipiani
dondolava foglie e canti
inaccessibili…

…e nello sguardo vago
le scintille d’argento dei vallivi
gàttici. Tremavi,
come se fosse nella mente
accesa un’onda, come il velo
d’arancio che la mano
spandeva ad ogni passo,
come il candore
della tua speranza.
Tremarono
le luci dell’altare
nei fumi dell’incenso,
fuggì la voce debole
nel timbro sontuoso
delle canne.

Maternità

Ora nel sogno respirava
inquieta un’altra fiamma
e si animava un tempo
di dolcezze ineffabili,
di riti
antichi e misteriosi,
di struggenti
intese: sorrideva indefinito
un volto…
e prese forma,
e richiamava
tenerezze impulsive, angosce,
canti, cullati errori
della mente, caldi
presagi inavverabili,
tenaci ardori.
Ma passò da soffio a soffio
la primavera,
e si ritrasse il volo
intimorito.

Maturità

Fu quando si spezzò
l’ordito fragile,
quando un timore
fu certezza, quando
irruppe dal sereno
all’improvviso
un lampo.
Si smarrivano le trame
cadendo come segni
di un autunno precoce,
ritesseva senza scampo
il telaio impazzito.

Ma il cuore ardì
comporre altre speranze,
si rifugiò tenace
nel pensiero, fervido
di promesse,
e fu colpito ancora,
come un cervo
che s’impiglia nei rami
correndo
ed è finito.

Vecchiaia

Così cadde la sera.

E dentro gli occhi
il sole si spegneva
in raggi bassi e lenti,
stormivano carezze
dell’anima smarrite.
Non c’era un’illusione
che fuggisse
dallo scrigno sepolto,
non restava
che un’àncora di grani
tormentati
da una speranza ultima.

26 Novembre 1986

Cadevano le foglie,
ultime foglie in una sfera
azzurra che gridava:
sembrava che ci fosse
luce soltanto.

Venne il momento altissimo
dell’ombra,
venne improvviso il vento
che cancella,
venne il silenzio
che più non si varca.

                       24 Gennaio / 9 Febbraio 1989

Amato Maria Bernabei

UN COMMENTO

Poesia altissima, caro amico, capace di toccare ogni corda dell’anima, per rinverdirne e, insieme, lenirne il dolore… Mi sono ritrovato “fratello” nelle pause, nelle parole e nella musica. Ho ripensato alla mia, di madre, alle cose che non le ho chiesto, al suo universo di fanciulla, alle ferite segrete, alle paure… L’ultima volta che sono andato a farle visita, le ho dormito accanto: mi ha svegliato con una carezza lieve; mi ha detto: eri inquieto, stanotte… Grazie, caro amico.

Professor Pasquale Matrone

 

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