Tutto Dante: esegesi di un’esegesi…

Benché abbia ormai capito che perfino di fronte all’evidenza certe “fanatiche predilezioni” sono inattaccabili, sento il dovere di fornire una dimostrazione ulteriore, inoppugnabile, delle confuse “esegesi” che il Tutto Dante va proponendo da anni ad estasiate platee di sprovveduti, di sbadati, di compiacenti. Sempre con l’intento che ho più volte dichiarato: denunciare una mistificazione culturale ai fini di un riscatto della cultura stessa, ridotta a merce scadente da spacciare in abiti accademici. Benigni è, mio malgrado, protagonista di questa battaglia, essendo divenuto l’emblema di tale distorsione. Nulla più. Non avrei infatti niente da obiettare se egli semplicemente recitasse Dante senza pretendere di salire in cattedra e di spiegarlo, o se avesse tranquillamente continuato a fare il suo mestiere.

Perché quello che lo hai studiato a scuola
non è nemmeno l’ombra di quello che lo racconta Benigni.
È la stessa differenza che passa tra un cadavere ed un uomo vivo
(commenta uno studente su You Tube!)

Mi sembra che Benigni ha due lauree ad honorem. Se mi permetti: gli insegnanti dovrebbero studiare Benigni è da NOBEL
(letto su Twitter)

Troppi insegnanti usano i suoi dvd come sostituto in cattedra !
Mio figlio (liceo classico) ne ha avuto 1
(Twitter,   @milena131168)

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Tutto Dante, dallo spettacolo dedicato al XXXIII Canto del Paradiso.
Controesegesi esemplificativa dei versi 85-90 (in grassetto le spiegazioni di Benigni).
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documento sonoro (permette ascolto e lettura simultanei)


Nel suo profondo vidi che s’interna,

Attent’a ‘sta terzina che è… uno scandalo, fa paura da quant’è…

    Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:

aspetta…

    sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.

Allora lui guardò nel suo profondo

lui, Dante, guardò nel suo profondo (nel profondo di se stesso? No, il Professore vuole dire di Dio);

e vide che c’era le sustanze e le accidenti

avete capito benissimo: “le accidenti”, evidentemente Benigni può far diventare singolare una persona plurale del verbo (c’erano, non c’era) e femminile un termine maschile… perché dire “gli accidenti”?

son termini medievali per dire ciò che produce, ciò ch’è prodotto, ciò ch’è stato e ciò che sarà

Chi ha capito qualcosa? Benigni compreso, proprio nessuno, anche perché quello che ha detto il comico non ha alcun senso: e se questo significa rendere popolare Dante…

Sostanze e accidenti sono concetti filosofici che risalgono ad Aristotele, che ne fece cardini del suo pensiero, e che ancora oggi gli studenti liceali apprendono sui manuali di Filosofia, non sono dunque “termini medievali” (i Chiarissimi Professori dell’Università Ben Gurion di Beersheva dovrebbero rivedere le motivazioni che li hanno indotti a conferire la Laurea honoris causa in Filosofia a Roberto Benigni…). Dante dà forma filosofica alla terzina precedente, spiegando di aver visto nella profondità dell’essenza divina  “le sostanze” delle cose, ovvero tutto ciò che sussiste per se stesso, “gli accidenti”, ovvero tutte le modalità non necessarie e variabili delle sostanze, il “lor costume”, cioè il rapporto che intercorre fra sostanze e accidenti. Per chi non ha dimestichezza con la filosofia non è immediata la comprensione del passo, ma non è certo comprensibile il vaneggiamento benignesco “ciò  che produce, ciò ch’è prodotto, ciò ch’è stato e ciò che sarà”;

sustanze e accidenti e lor costume, e la maniera di loro

anche qui, naturalmente, la chiarezza di Benigni è proprio adatta alla “divulgazione popolare”: che vuol dire “la maniera di loro”? Ma si può sostenere che il comico riesce a rendere semplice la Commedia? In realtà lui è proprio il primo a non capirne la complessità e i significati!

conflati insieme, per tal modo che io ora vi dico è una sciocchezza,

ovviamente l’uditorio ha capito il senso di “conflati”, visto che Benigni non lo spiega e che precisa: “conflati insieme per tal modo che io ora vi dico è una sciocchezza”… Chiarissimo, davvero un’esegesi elementare… Ma non era più semplice dire al pubblico che Dante ha visto tutte le cose che nell’universo appaiono sparse e divise, raccolte insieme (conflati), con amore, come i fogli in un volume? E in un modo tale  che con le parole l’Alighieri può dare solo una pallida idea di quello che ha visto (ciò ch’i’ dico è un semplice lume, non certo “che io ora vi dico è una sciocchezza”)? Per spiegare in questo modo, però, Benigni avrebbe dovuto capire…

ciò che per l’universo si squaderna: c’è un punto nell’universo che si chiama l’Alef, da dove si può guardare tutto, sempre, e quel punto è Dio. Allora Dante, essendo dentro a Dio, lui ha visto dentro ciò che per l’universo si squaderna / sustanze e accidenti e lor costume

Confuso e inopportuno riferimento all’Alef, cui non si accenna nel testo dantesco, con introduzione di un’allusione esoterica, che genera ulteriore disordine, ma fa colpo sull’uditorio sprovveduto e travolto da… una simile “erudizione”. Segue uno sproloquio in cui Benigni raggiunge la vetta dell’imbonimento, in cui drammatizza con enfasi paraverbale e non verbale un linguaggio verbale ciarlatanesco, zeppo di  “artefazioni” (mi si perdoni il neologismo)…

Ha visto tutto quello che il mondo è stato, l’inizio del tempo, la fine del tempo, è stato lui il tempo: è stato ognuno di noi questa sera, è ognuno di noi, la maglia, i calzoni di ognuno di noi. È questo palco, ha visto il legno, ha visto quando hanno tagliato ‘sto legno… Ha visto ‘ste case: tante quando ha cominciato a scrive la Commedia…

“tante quando ha cominciato a scrive la Commedia…”… Ma che vuol dire?

Ha visto l’antichità. Ha visto gli amori che sono finiti male; il coraggio che non è andato a compimento; fiori che crescono dove nessuno l’ha mmai visti; era quei fiori; ha ssentito il rumore d’una castagna che cade in un luogo deserto; ha visto l’acqua che scorre, era quell’acqua. Era Giulio Cesare

Che accozzaglia! E facciamo notare che è una lezioncina imparata a memoria, ripetuta da Benigni su ogni palcoscenico con la pretesa di “spiegare” queste terzine…

Era Giulio Cesare, lo zoccolo del cavallo di Giulio Cesare, l’erba sotto lo zoccolo. Una volpe che prende un coniglio, era i denti della volpe, è stato il sangue di quel coniglio, i globuli rossi del sangue di che coniglio. Lo sperma di qualcuno che stava per essere generato…

Questa è davvero geniale…
Dante avrebbe visto lo sperma di un uomo, dunque l’eiaculazione di un individuo adulto, prima ancora che questi fosse generato! Miracoli della fantasia dantesca. Sì, ma Dante dove l’ha detto? Già… la “libertina”, pardon, la libera interpretazione dell’esegeta…

È stato nel corpo. Ha visto la vita che nasce. È stato un insetto, è stato una foglia. È stato una mattonella, è stato ‘sto microfono…

Qui mi pare proprio che l’ispirazione poetica del vate di Misericordia abbia una caduta verticale.

Ha visto l’inizio del tempo, è stato Dio, suo figlio la Madonna. È stato tutto, sempre. Ha visto tutto! …con questi versi (applausi) …eeeh, questo, questo è un verso memorabile… No, vi ringrazio per la magnificenza del verso, e disce…   

Per la magnificenza del verso dovrebbe ringraziare Dante più che il pubblico.
La farneticazione è finita… ma le due terzine che cosa significano? Benigni non lo sa e non lo dice. La spiegazione più rapida e “semplice” è la seguente:
nella profondità dell’essenza divina vidi che tutto ciò che nell’universo è sparso e diviso (si squaderna), si trova raccolto (s’interna), legato da un vincolo d’amore, in una sola unità (in un volume). Vidi le cose nella loro sostanza, nelle loro caratteristiche accessorie, variabili (accidenti: l’altezza-accidente in un uomo-sostanza, ad esempio), e nelle modalità in cui sostanze e qualità accessorie sono in relazione fra di loro (costume), tutto armoniosamente e strettamente fuso insieme (conflati), in un modo tale che le mie parole possono dare soltanto una pallida immagine (semplice lume). Pochi secondi, per dire tutto… con chiarezza.
Spiegazione arida, vero? Vuoi mettere la messinscena del clown…!?

Sentite la bellezza di questi versi che non finisce solo nel significato, ma nel senso poetico… sentite…

Adesso qualcuno mi dovrà spiegare che ha detto il Professore: la bellezza dei versi non finisce solo nel significato, ma nel senso poetico. Dunque, la bellezza dei versi “finisce” sia nel significato che nel senso poetico. Sul “significato” magari ci siamo, ma il “senso poetico” che cos’è? Scusate, ma io sono limitato e non riesco a comprendere pensieri così dotti e profondi…

Disce, ve li ripeto: “Nel suo profondo vidi che s’interna”… vuol dire tre, in-ternare, il terno, eh? Tre, che è il numero  della Trinità, “legato con amore in un volume”… che è anche un libro, che è il libro sacro, il libro della vita, “ciò che per l’universo si squaderna”: quattro… Ci sono dentro tutti i segni della teologia cristiana: il tre e il quattro, che sono i segni, no?, della, delle virtù e della teologia, no?, sono il… el, eee, eee, il divino e l’umano, che s’uniscono: tre è il numero del divino e quattro è il numero dell’umano. E c’è il libro, ciò, ne el vidi che s’interna… quindi ha due sensi: dentro e tre. “Ciò che per l’universo si squaderna”… a parte la bellezza di squadernarsi che c’è un’altra volta il quaderno, propio, il senso della scrittura, è propo e la el el lhuuu lo l’onomatopea, “ciò che per l’universo si squaderna” , il quattro che siamo noi. Dentro – io ve l’ho detto per questo, perché è più visibile -, ma pressoché in ogni verso c’è un significato o due significati, ma il più bel significato non c’è nulla di più profondo della superficie. Quello che lui ci dice è profondi, quello che prendiamo subito.

Se questo non è delirio… Non contento dell’obnubilante esternazione precedente, che nulla ha chiarito, il comico esegeta (forse più correttamente l’”esegeta comico”) si sente in dovere di aggiungere riferimenti numerologici e ulteriori “delucidazioni”, e balbetta letteralmente incomprensibili riferimenti mal digeriti, elaborando un pensiero sconnesso che preoccupa… Qualcuno abbia il coraggio di dirmi che questa è esemplificazione per il “popolo”: un discorso così non lo capisce nessuno!

Allora che senso ha parlare di “divulgazione della Commedia”? Come è successo che migliaia di ragazzi si sono convinti di ascoltare il più preparato e il migliore degli insegnanti possibili? Chi è il responsabile vero di questa allucinazione di massa?
Io non posso che manifestare il mio sconcerto e la mia ribellione, concludendo con una riflessione sempicissima:
chiunque sia contento di essere imbrogliato, merita di esserlo!

Amato Maria Bernabei

P.S. Chi dovesse avere qualche dubbio sulla fedeltà dei testi trascritti, può consultare il documento sonoro già riportato in testa all’articolo.

Contro questo insopportabile scandalo è nato “O Dante o Benigni“!

Si legga pure l’ancor più sconcertante scheda http://www.odanteobenigni.it/?p=1382

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